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Channel: Barche veloci – Nautica e barche d'epoca – Altomareblu
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Il restauro di Budda Special – (III puntata)

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di Giacomo Vitale

Il 15 settembe del 2009 demmo notizia su AltoMareBlu di “Budda Special“, un offshore progettato e costruito dal genialissimo Salvatore Gagliotta e rimasto per 43 anni a dormire, prima in un capannone e poi per un periodo di circa due anni alle intemperie, prima di essere acquistato dal nostro amico Marcello, che annunciava l’inizio dei lavori di restauro di questo mitico offshore…

Budda Special di S.Gagliotta

Alcuni cenni storici sul “Cantiere Gagliotta”

Nacque a Napoli nel 1950 per la genialità del suo ideatore Salvatore Gagliotta, appassionato di motori e di nautica, non ancora trentenne. Insieme ad alcuni giovani appassionati, che negli anni a seguire divennero dei personaggi noti in progettazioni e costruzioni aeronautiche italiane, Salvatore Gagliotta aprì un cantiere nelle grotte di tufo di “Mergellina” a Napoli, dove nacquero le sue prime imbarcazioni veloci, oltre ad alcuni apparecchi ultraleggeri per il volo.

Budda SpecialLa genialità di “Salvatore” gli permise di progettare e costruire alcune carene a V profondo, caratteristica fondamentale di tutte le sue creazioni realizzate negli anni successivi, facendo presa sui giovani della Napoli più ricca che, oltre a chiedere barche performanti nelle prestazioni, le volevano anche comode ed eleganti.

Nelle numerose interviste rilasciate da Salvatore Gagliotta a Luciano De Crescenzo, diceva che quando era giovane i naviganti a Napoli si dividevano in due partiti:

  • I Gagliottisti, gente dura e sportiva che correva con i suoi bolidi efficientissimi e spartani
  • Gli “Aquaramisti”, quelli che cercavano di navigare con gli Aquarama di Riva, riconosciuti come sofisticati oggetti di ebanistica, ma che secondo il geniale Salvatore e non solo, non avevano nulla di marino.

E’ risaputo che le imbarcazioni prodotte da Salvatore Gagliotta erano scelte ed apprezzate da veri intenditori, poiché puntavano su efficienza e prestazioni di tali unità e non sulle inutili apparenze. Dopo i primi anni di attività pionieristica ed amatoriale il cantiere, senza tradire i principi costruttivi detti, passò ad una produzione semi industriale ed i brillanti risultati agonistici conseguiti negli anni ’60 – ’70 furono determinati per il successo della produzione delle sue barche.

Nel n° 80 di ottobre 1968 di Nautica, Carlo Marincovich scriveva:

L’unico tra gli italiani che ha dimostrato di valere molto in campo internazionale è il napoletano Salvatore Gagliotta, che con il suo cabinato Budda Blitz è sempre stato alle spalle di potentissimi bolidi, superando di gran lunga in prestazioni altri cabinati delle stesse dimensioni e costruiti da grandi complessi cantieristici.

Sempre in quel periodo, famosa fu l’affermazione di Don Aronow, mitico produttore dei famosi Cigarette americani secondo cui:

Le uniche carene in Europa degne di essere copiate sono quelle di Gagliotta.

budda blitz

Dopo questa breve e simpatica parentesi storica ho evidenziato che il “Budda Special” salvato è lo scafo gemello del “Budda Blitz”. di cui le immagini successive che indicano la progressione dei lavori di restauro messi in essere dal suo “salvatore ed armatore” Marcello!

Viareggio Bastia Viareggio

Budda Special alla Viareggio Bastia Viareggio del 1968, prima di ritirarsi per un urto contro un corpo gallegiante, costringendo i piloti a spiaggiarla per evitarne l’affondamento dovuto ad una falla apertasi verso poppa nella carena.

Inizio lavori restauro – ottobre 2010:

Le prime fasi di lavorazione sono state dure perché si è provveduto a smontare tutte quelle parti interne dello scafo che dovevano essere rimosse. Inoltre è stato eseguito un notevole lavoro di lavaggio e sgrassatura della carena, sia in sentina che in opera viva. Questo per fare in modo che il trattamento epossidico successivo desse il massimo risultato possibile.

Sono state sostituite tutte le parti in legno sfibrate ed inservibili, come si evince dalle foto di seguito pubblicate ed alle quali non seve aggiungere altro! Assoluamente un lavoro impegnativo e scrupoloso, che evidenzia gli ottimi risultati raggiunti.

fasi-lavorazione-scafo fasi-lavoro-fondo-scavo rinforzo-fondo-vano-motori rinforzo-carena-fondo-vano-motori

restauro Budda Special vista-totale-ponte

Anno 2011 mese di luglio:

Terminate le fasi di ricostruzione delle parti danneggiate, si è proceduto al posizionamento e fissaggio delle stesse con ulteriore levigatura di tutto lo scafo, dal ponte all’opera morta ed alla carena. La fase a seguire è stata la laminazione di tutto lo scafo con resina epossidica, operazione eseguita nel periodo caldo, luglio 2011, in modo che la resina, con temperature comprese tra i 20°- 30° Centigradi, diviene molto fluida, permettendo al legno lavato e ben asciutto, con umidità relativa inferiore al 12%, rilevata con apposito strumento Skinder, di assorbirla bene in profondità, applicando un paio di mani in successione, appena la prima diventa attaccaticcia.

Questa operazione abbrevia molto le fasi di laminazione, poiché non è necessaria la carteggiatura tra una mano ed un’altra, con tempi di lavorazione e fatica che si accorciano. Ottimo il risultato come si può vedere dalle foto di seguito pubblicate.

budda-special-trattamento-epossidico budda-special-trattamento-epossidico-scafo budda-special-scafo-trattamento-epossidico budda-special-restauro

Anno 2011 mese di ottobre:

Dopo la laminazione e le conseguenti mani di fondo passate sull’intera carena in più tempi, finalmente si giunge alla fase definitiva della pitturazione che, come si può evincere dalle foto, è molto bella e mette in evidenza la cura con la quale si è portato avanti questo meticoloso lavoro di ripristino dell’ eccezionale offshore…

pitturazione-carena-opera-morta budda-special-pitturazione carena

Nelle successive foto si vede “Budda Special” posto su di un carello stradale, mentre viene trasferito  al centro commerciale “Le Fate” – Località Ardensa – Livorno, dove l’artista pittore Daniele Consani ha organizzato una “mostra storica” di auto, motociclette e quadri di autori Livornesi che è aperta al pubblico dal 3 dicembre 2011 al 15 gennaio 2012.

Bella la scelta dei colori del tutto uguali a quelli originali con i quali questo offshore correva.

budda-special-vista-specchio-poppa budda-special budda-special-gagliotta restauro ultimato consegna

budda-special-olio-tela 70x100 altomareblu-viareggio-bastia-viareggio mostra-d'epoca mostra d'epoca

Le nostre più vive congratulazioni a Marcello che ha dimostrato con il suo grande atto d’amore di essere un vero appasionato di barche d’epoca, impegnandosi nel recupero totale di un offshore di tutto rispetto, progettato da uno straordinario Salvatore Gagliotta che oggi non è più. Chi l’ha conosciuto, non potrà mai dimenticarlo per genialità, semplicità e per quello sguardo molto profondo e vivo, caratteristico degli sciuscià napoletani!

Nella prossima puntata documenteremo i lavori di montaggio dei motori, impianto elettrico, strumentazione ed i relativi stern-drive, mostrando anche un filmato dell’offshore in navigazione…

“Budda Special” è ritornata a vivere e la sua storia continua…

 

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Mini Drago Arrow a Rimini

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Tra le barche progettate da Renato “Sonny” Levi un modello decisamente corsaiolo è il Mini Drago, costruito dai Cantieri Italcraft di Gaeta nell’apposita sezione di Bracciano che era dedicata alle barche in legno e dalla quale nacquero i modelli Sarima, Drago e Mini Drago, tra questi, un modello denominato Arrow.

Mini-Drago-Arrow Mini-Drago-Arrow-1

DATI DI TARGA

  • Lunghezza f.t.: 8,50 m
  • Larghezza max.: 2,00 m
  • Angolo di diedro allo specchio di poppa: 25°
  • motori e potenza max. nominale: Aifo 2 x 135 CV a 3200 g/min
  • Potenza totale agli assi: 2 x 128 CV = 256 CV
  • Numero cilindri: 6
  • Ciclo: 4 tempi diesel
  • Trasmissione: step drive
  • Eliche: supercavitanti e controrotanti

Mini-Drago-posto-comando Mini-Drago-posto-comando-1

Lavori eseguiti nell’ottobre 2009:

Rimessaggio, in cantiere, con motori sbarcati e portati in officina per l’esecuzione delle seguenti operazioni:

  • Smontaggio e revisione di n.2 alternatori e sostituzione di cinghie trapezoidali in gomma.
  • Smontaggio e revisione di n.2 motorini di avviamento (pignoni nuovi).
  • Sostituzione di due pompe Jabsco (nuove) per circolazione acqua complete di giranti in gomma.
  • Revisione completa scambiatori acqua dolce. Smontaggio e montaggio.
  • Sostituzione di manicotti in gomma per circolazione acqua.
  • Sostituzione delle cinghie trapezoidali dei motori per circuito acqua e raffreddamento.
  • Smontaggio invertitori e parastrappi, cambiato olio, gommini, guarnizioni e tubazioni in gomma.
  • Cambio olio motori e n.4 filtri.
  • Revisione e taratura completa (dal pompista) di n.2 pompe di iniezione con messa in fase.
  • Taratura n.12 iniettori.
  • Sostituzione degli zinchi per correnti galvaniche nell’impianto di raffreddamento.
  • Smontaggio e rimontaggio di n.2 teste motori con sostituzione delle valvole e prova delle medesime con rettifica del piano e delle sedi delle valvole. Serie completa guarnizioni.
  • Controllo compressione dei n.2 motori.
  • Smontaggio e rimontaggio assi ed eliche, sostituzione degli assi in diametro maggiorato a 32 mm con boccole in “Pom.c” e sostituzione eliche con SBM Scaccabarozzi Monza. Eseguito nuovo allineamento motori.
  • Sostituzione n.4 filtri di alimentazione con pulizia dei decantatori e spurgo bolle d’aria per messa in moto
  • Revisione completa impianto elettrico.

La barca ha le seguenti dotazioni di sicurezza: Eco, Radar, accessori per la navigazione S.L., inclusa la zattera…

Documentazione originale dello scafo e dei motori in ordine, dispongo di pezzi e materiali di ricambio

Mini-Drago-Arrow-vista-sinistra Mini-Drago-Arrow-vista-dritta

Le condizioni generali della barca e specialmente nelle strutture importanti come carena: opera via ed opera morta, coperta ecc. sono più che buone, così come per la meccanica ed i motori ed è stata sempre curata nel giusto modo e sempre da persone professionalmente qualificate.

Mini-Drago-Arrow-alata-vista-dritta  Mini-Drago-Arrow-prua

 

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Shaft 34 C&B in vendita a Napoli

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Shaft-34-1 Shaft-34-2

Dati di targa:

Cantiere: Cigala & Bertinetti
Modello: Shaft 34
Anno costruzione: 1991
Lunghezza: 10,10 m
Larghezza: 2,78
Limiti navigazione: oltre 12 miglia dalla costa
Motori: Volvo Penta modello AQ AD 41A
Potenza: 2 x 200 HP
Trasmissioni: stern drive – Duoprop
Velocità max.: 36 nodi
Velocità di crociera: 28 nodi

Descrizione imbarcazione:

La barca si presenta in ottime condizioni, con rifacimento totale delle tappezzerie interne ed esterne eseguite negli anni 2010 – 2011 e le condizioni attuali sono pari al nuovo.

Motori:Shaft-34-3

I motori Volvo Penta 200HP Duoprop sono stai interamente revisionati e sostituite le turbine con quelle dei 231. Inoltre sono stati revisionati:

  • scambiatori di calore
  • pompe nafta
  •  iniettori
  • alternatori
  •  motorini avviamento,
  • pompe acqua ecc..

Strumentazione di bordo per la navigazione:

  • Gps : Geonav 7′ plus – cartografico 3D – cartuccia del Mediterran Echo: Modulo aggiuntivo al GPS –  Geonav
  •  Boiler
  • Wc elettrico
  • Impianto 220 V
  • Caricabatterie
  • Stereo con comandi esterni

Inoltre sono presenti a bordo:

  • eliche rispetto
  • dotazioni di sicurezza complete.

Prezzo: 45.000 € – non trattabile. Vendo per passaggio ad imbarcazione di maggiori dimensioni.

Per contatti: tel.: 338 67 57 955 Amedeo

Shaft-34-4  Shaft-34-5

Barca visibile a Napoli:  in acqua fino ad ottobre 2012

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Nazca di Renato “Sonny” Levi in un racconto di Stuart Ashby

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Nazca Levi –  foto Rupert Richardson – 12 nov 1980 –  in partenza per l’isola di Capri – Italy

Lungo 55 piedi, Nazca era la barca più lunga costruita dal cantiere Elephant Boat Yard di Bursledon in quel periodo, sul fiume Hamble, vicino a Southampton. Il capannone dove è stata costruita era lungo solo 60 piedi, quindi si doveva risparmiare spazio in carena ed a poppa. A causa dello spazio limitato Nazca è stato costruito in posizione inclinata, il che significava tanto lavoro in più per assemblare lo scafo.

Dati di Targa barca classica NAZCA:

  • Lunghezza ft.: 16,92 m
  • Lunghezza al galleggiamento: 13,90 m
  • Larghezza max.: 4,8 m
  • Larghezza allo spigolo: 4 m
  • Immersione: 0,83 m
  • Diedro allo specchio di poppa: 22  1/2°
  • Peso: 18 tonnellate
  • Motori: Stewart + Stevenson V8 – 92 TI 650 HP
  • Velocità: 32 nodi

Barca classica Nazca Levi – Rupert Richardson

Le tavole della carena erano undicimila segmenti in cedro rosso brasiliano che furono assemblate in quattro strati incrociati tra loro a 45° sovrapposti a freddo ed incollati con colla urea-formaldeide della Aerolite.

I longheroni centrali, che fanno anche da supporto motori, erano in mogano.

I ponti strutturali sono stati laminati in iroko. Le paratie strutturali, le traversine e le cabine erano di compensato marino. I correnti del ponte erano di spruce.

Le parti scatolate erano in compensato di teak.

Barca classica Nazca Levi – Rupert Richardson

Le parti componenti della chiglia sono state tutte rimosse per circa 6″ a 8″ da ciascun lato della giunzione e per una profondità di circa 1/4″ per effettuare una laminazione con stuoia in fibra di vetro intrecciata e con resina epossidica WEST.

Queste parti sono state anche laminate all’interno. Le parti scatolate erano in legno di abete e compensato marino e si estendevano fino alla traversa, laminati nello stesso modo.

Ricordo ancora che lavorai molte ore per laminare queste aree, in particolare nel vano sotto la parte poppiera!

Renato “Sonny” Levi barca classica Nazca – Foto: Rupert Richardson 11 Nov 1980

L’interno è stato allestito in ciliegio leggero con una finitura non lucida. Will Hall, produttore di mobili e cognato di Tom Richardson, su indicazione specifica ha realizzato le parti in legno che sono state poi unite da John Chalcraft, un artigiano altamente qualificato, che aveva fatto apprendistato presso la vecchia ditta “Camper e Nicholson” – cortile a William St, Northam, Southampton.

Lo scafo, il ponte in legno e la sovrastruttura erano tutti rivestiti in WEST (resina epossidica) prima di dipingerla. Il colore della scafo era il “glassa britannico Blue”.

A causa dell’inclinazione degli alberi di trasmissione, i fori per i passaggio degli astucci erano lunghi e venivano fissati in maniera tradizionale con un foro pilota e poi con una barra di taglio appositamente realizzata, finché non è stato raggiunto il foro di diametro corretto per il passaggio dell’astuccio.

Il raggiungimento di un accurato allineamento di un taglio così lungo è fondamentale per le prestazioni della barca e richiede un esperto carpentiere. Il lavoro è stato affidato a Harold Aldridge, con i suoi cinquanta anni, oltre agli apprendisti Camper e Nicholson.

Nelle foto pubblicate si può vedere la finitura eccezionale dello scafo. Ciò è stato raggiunto con un’accurata esecuzione durante la fase di costruzione, seguita da preparazione e pitturazione qualificata.

Poiché ogni strato di appendice è stato montato, levigato a mano e controllato ad occhio, pianificando e poi levigando con lunghe tavole utilizzate a due mani e con vari strati di carta abrasiva a grana grossa sovrapposti e fissati alle estremità.

L’omogeneità della superficie di ogni strato è controllata dai costruttori di barche che lavorano a mano sulla superficie per assicurare che le irregolarità invisibili all’occhio siano state incollate. Quando questo processo è completo, viene montato lo strato successivo.

La levigatura è impegnativa ed affascinante. Se eseguita da esperti costruttori di barche, pone le basi per un’ottima finitura delle imbarcazioni.

Infine, sottocoperta è richiesto lo stesso livello di abilità e cura nella pitturazione. Il cantiere navale Elephant era fortunato ad impiegare Henry Biggs, un pittore esperto di yacht negli anni cinquanta, che aveva svolto il suo apprendistato sul fiume Hamble. È stato assistito da Adrian Murrey che in seguito ha continuato a dipingere yacht sul Hamble.

Barca Levi, Nazca e tutti i tecnici che hanno partecipato alla sua costruzione

Gli uomini che hanno lavorato il Nazca erano:

  • Richard Langton
  • Glen Murrey
  • Stuart Ashby
  • Jim Lucey
  • Will Hall
  • John Chalcraft
  • David Heritage
  • Alastair Garland
  • Harold Aldridge
  • Henry Biggs
  • Steve Cole
  • Rupert Richardson
  • John Richardson
  • Adrian Murrey e Bob Gibson.

Nazca

Il proprietario di Nazca, Kevin Cooper, ha presentato tutto il personale del cantiere navale Elephant Boat Yard di Bursledon sul fiume Hamble vicino a Southampton con un cestino di peltro su cui era scritto ‘Nazca 1980’.

Renato “Sonny” Levi ha visitato il cantiere mentre Nazca era in costruzione e ricordo la qualità ed il dettaglio dei suoi piani di costruzione. Le immagini mostrano la pura eleganza funzionale del suo design.

Ho lasciato l’Elephant Shipyard circa 18 mesi dopo la costruzione di Nazca, ma vedo che stanno ancora costruendo e ripristinando barche in legno e molti degli uomini che hanno costruito Nazca stanno ancora lavorando.

Stuart Ashby

Crediti
AltoMareBlu ringrazia Stuart Ashby per le foto e le notizie del NAZCA e le foto risalenti al momento della sua costruzione ed alla partenza per l’isola di Capri come prima meta di navigazione, consentendoci di aggiornare l’archivio storico di questa splendida unità progettata da Renato “Sonny” Levi

Crediti: Le fotografie da ‘Nazca 1 a ‘Nazca 5 sono state originariamente scattate da Rupert Richardson (che, credo, ha anche scattato le fotografie presenti su AltoMareBlu), le altre tre foto le ho scansionate da  riviste e quindi stampate. Purtroppo il colore si è alterato nel corso degli anni. (le foto pubblicate in questo articolo sono state restaurate da Alessandro Vitale AltoMareBlu.

Nazca di Renato “Sonny” Levi – (English)

At 55 ft LOA, Nazca was the longest vessel to be built at the Elephant Boatyard up to that time. The building-shed was only about 60 ft long, so there was very little room to spare at the bow and stern ! Because of the restricted space, Nazca was built upright, which meant a lot of overhead work when we were planking and fairing the hull.

Hull planking was Brazilian Cedar, 4 skins, cold-moulded with Aerolite urea-formaldehyde two-part glue. Centreline, shaft logs and spray rails were mahogany. Structural floors were laminated spruce. Structural bulkheads, transom and cabin soles were marine plywood. Deck beams were spruce. Decks were teak on plywood.

The keel, chine, stem, sheer and transom joints were all rebated for approximately 6″ to 8″ each side of the joint to a depth of approximately 1/4” to accept a laminate of woven-roving glassfibre mat and WEST epoxy resin. These joints were also laminated inside. The box-section spruce and marine plywood engine bed girders, which extended through the lazarette to the transom, were also laminated in the same way. I still remember spending a lot of hours laminating these areas and grinding them afterwards, particularly in the lazarette below the aft deck !

The interior was fitted out in figured light cherry with a non-gloss finish. Will Hall, a cabinet maker and brother-in-law to Tom Richardson, was brought in especially to make the joinery units and was later joined by John Chalcraft, a highly-skilled yacht joiner, who had been apprenticed at the old Camper and Nicholson’s yard at William St, Northam, Southampton.

The hull, plywood deck and superstructure were all coated in WEST before painting. Hull colour was International Britannia Blue, single-part gloss enamel.

Due to the shallow angle of the propellor shafts, the holes for the stern-tubes were long and were bored out in the traditional way, firstly by a pilot-hole bored with a long bit (2-3m, as I recall) and then with a specially made boring-bar with adjustable cutters. Several cuts were made with this boring-bar, the cutters being re-set to cut a slightly larger diameter with each cut, until the correct diameter hole for the stern-tube had been achieved. Achieving accurate alignment of such a long cut is crucial to the boat’s performance and requires an experienced boatbuilder. The work was entrusted to Harold Aldridge, then in his fifties, who had also been apprenticed at Camper and Nicholson’s.

In these photographs, the exceptional finish of the hull can be seen. This was achieved by accurate fairing-in during the building stage, followed by skilled preparation and painting. As each skin of planking was fitted, it was faired in by hand and eye, firstly by planing and then by sanding with long two-man sanding-boards using coarse-grit abrasive paper. The fairness of each skin is checked by the boatbuilders running their hands over the surface to ensure that irregularities invisible to the eye have been faired-in. When this process is complete, the next skin is fitted. Fairing-in is labour-intensive and painstaking but, if carried out by skilled boatbuilders, it lays the foundation for the ultimate yacht finish.

The final grain-filling, undercoating and glossing requires the same level of skill and care. The Elephant boatyard was fortunate at this time to employ Henry Biggs, a skilled yacht painter in his fifties, who had served his apprenticeship on the Hamble River. He was assisted by Adrian Murrey who later continued painting yachts on the Hamble.

The men who worked on Nazca were Richard Langton, Glen Murrey, Stuart Ashby, Jim Lucey, Will Hall, John Chalcraft, David Heritage, Alastair Garland, Harold Aldridge, Henry Biggs, Steve Cole, Rupert Richardson, John Richardson, Adrian Murrey and Bob Gibson.

Nazca’s owner, Kevin Cooper, presented all the Elephant boatyard staff with a pewter tankard inscribed ‘Nazca 1980’. Mine still sits on my window-cill to this day !

Mr. Levi visited the yard whilst Nazca was under construction and I remember the quality and detail of his building plans. The pictures show the sheer functional elegance of his design.

I left the Elephant Boatyard about 18 months after Nazca but I see that they are still building and restoring wooden boats and several of the men who built Nazca are still working there.

 

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Catamarani da CORSA estratto dal libro “Dhows” to Deltas” di Renato Sonny Levi

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Nel campo dei catamarani veloci Levi ha avuto diverse esperienze. Ne ha progettati per gare in circuito, per gare offshore di classe III e ne ha studiati altri – peraltro non costruiti – sia per le classi OP1 e OP2, sia per il diporto.

Ecco alcune delle realizzazioni concrete.

Catamarani

Dhows to Deltas, il libro di Renato “Sonny” Levi pubblicato in lingua inglese nello scorso autunno, sta avendo un ottimo successo editoriale in tutto il mondo. In Nuova Zelanda come in Australia, in Gran Bretagna come negli USA viene considerato ormai la bibbia degli scafi veloci, sia da circuito che, soprattutto, d’altura.

Il fatto è che in questo libro Levi non ha nascosto nulla delle sue esperienze, delle difficoltà che ha incontrato nella progettazione dei più veloci bolidi, degli errori commessi, dei vantaggi dati da certe sue proposte. Insomma ha detto tutto, nella convinzione che questo possa esser utile a quanti si occupano in qualsiasi modo della nautica agonistica o da diporto.

Mondo Sommerso è lieto di informare i suoi lettori di avere acquistato il diritto di pubblicare una serie di estratti da questo libro scegliendo gli argomenti più interessanti fra quanti sinora non sono stati ancora trattati in Italia dal noto progettista, La traduzione del testo inglese è a cura di Maurizio Adreani e Antonio Soccol.

Questo mese abbiamo scelto l’argomento catamarani. Iniziano anche in Italia le gare offshore di classe III e molti costruttori e piloti sono in dubbio nella scelta fra monoscocche e biscafi. Anche nelle classi superiori (OP1) si sono visti alcuni catamarani: ciò significa che l’argomento è all’ordine del giorno. Ecco dunque alcune esperienze dirette ed alcune considerazioni tecniche di Renato « Sonny » Levi sul problema.

Catamarani: LEVI CAT 18,5

(conforme al regolamento – Fuoribordo da corsa – classi 01, ON, OZ)

Catamarani: LEVI CAT 18,5

Levi Cat 18,5 sezioni ordinate 1 – 2

Ho basato questo progetto non solo sul concetto dei catamarani di Molinari ma anche su quelli di molti altri che sono stati recentemente prodotti, conformi all’attuale regolamento per le categorie 01, ON e OZ. Avevo già progettato catamarani di questo tipo in precedenza ma nessuno era stato costruito.

Dal mio punto di vista i principali problemi da risolvere qui erano:

  1. assetto- corretto, cioè l’angolo ottimo di incidenza nel tunnel per ottenere il richiesto sostentamento dinamico e la conseguente riduzione della superficie bagnata in modo che solamente le estremità posteriori degli scafi toccassero l’acqua in velocità, mantenendo una buona stabilità longitudinale e trasversale
  2. struttura, che doveva essere leggera e nello stesso tempo robusta per sopportare le
    sollecitazioni a cui sono soggetti questi scafi. Molti catamarani hanno subito danni nelle gare,
    da piccole falle al completo disfacimento; ho visto anche dei catamarani spezzarsi in due.

Diversi fattori influenzano la questione dell’assetto: il baricentro, la forma degli scafi a poppa, la linea di spinta. Quest’ultima richiede molta paziente sperimentazione pratica per la correzione degli errori.

L’altezza della piastra anticavitazione del motore fb rispetto al fondo del tunnel ha una notevole importanza per la velocità dello scafo. Naturalmente, più alta è la posizione in cui può essere posta la piastra anticavitazione evitando che l’elica caviti, maggiore sarà la velocità a causa della riduzione della resistenza offerta dal piede.

Alcuni catamarani in velocità hanno un assetto per cui solo una parte del mozzo e metà dell’elica si trovano in acqua, qualcosa di simile a quanto avviene con i tre punti.

Catamarani: LEVI CAT 18,5 Catamarani: LEVI CAT 18,5

Ritengo che in gara la tecnica di guida ed il peso del pilota abbiano un valore determinante per il successo di un catamarano piuttosto che un altro. Ho visto spesso 30 o 40 di questi scafi, con circa le stesse caratteristiche (ed in alcuni casi modelli identici), in gara fra di loro e due o tre che si staccavano lasciando indietro gli altri. Quasi sempre questi scafi vincenti avevano gli stessi piloti.

Catamarani: LEVI CAT 18,5 Catamarani: LEVI CAT 18,5

(Fine prima puntata)

 

Articolo pubblicato sulla rivista nautica “Mondo Sommerso” – luglio 1972 e qui riprodotto da AMB p.g.c. dell’autore.

 

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Catamarani da CORSA dal libro “Dhows to Deltas” di Renato Sonny Levi (ultima puntata)

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FAT CAT

Catamarani da CORSA dal libro “Dhows” to Deltas” di Renato Sonny Levi

Fat Cat

Nel 1966 feci molti progetti di catamarani a motore utilizzando il principio del «ram wing ». Uno di questi fu il Fat Cat di Lady Aitken. Questa barca fu costruita da Len Melly e John Merryfield ed iniziò a gareggiare nella classe III nel 1966.

Come base, la geometria di questa barca era la seguente:

Due scafi simmetrici da 6,10 m molto a V collegati fra di loro da una sezione alare portante. I due scafi erano stati costruiti in lamellare ed avevano i normali pattini longitudinali, in questo caso tre per lato: l’ultimo formava lo spigolo.

La larghezza di questi scafi era tale da potere accogliere una persona entro di essi: così il pilota sedeva in uno e il navigatore nell’altro.

Il regolamento della classe III richiedeva una minima apertura nel cockpit di 61 x 76 cm per ogni persona sotto forma di un solo cockpit della larghezza di 122 cm e della lunghezza di 153 cm oppure due cockpits larghi 61 cm e lunghi 76 cm lo scelsi per ragioni strutturali la soluzione con due cockpit disponendoli nei due scafi onde poter mettere la trave di collegamento ad H di due scafi tra i due cockpits.

Il rapporto spessore/lunghezza del profilo alare di questo ponte era poi determinato dalla regola della minima profondità ammessa, che richiedeva almeno 454 mm in qualsiasi punto della apertura del cockpit. La minima dimensione del cockpit non stava comunque entro gli scafi così dovetti lasciare due cockpits fittizi nel ponte di collegamento degli scafi. Poiché nessuno comunque si sarebbe seduto in questi cockpits, essi furono coperti, co-
me è permesso dal regolamento, rendendo possibile un profilo aerodinamico.

L’idea base del «ram wing » è di ottenere un sostentamento aerodinamico in velocità, riducendo in tal modo la superficie bagnata degli scafi. Nel primo progetto avevo delle fessure alle estremità dell’ala con la speranza di aumentare il sostentamento, e anche un flap sul bordo di uscita dell’ala tra i due scafi per lo stesso motivo. Inoltre speravo con questo flap di poter controllare l’assetto aerodinamicamente. Ambedue queste raffinatezze vennero successivamente eliminate poiché non si dimostrarono di reale utilità (forse lavelocità era troppo bassa) e in effetti erano solo una complicazione in più.

Penso di avere posto troppa importanza alla robustezza della struttura con un conseguente aumento di peso. Uno dei problemi con questi pluriscafi è quello di ottenere un collegamento robusto tra le due scocche e probabilmente ho esagerato in questo rispetto. Maggiore è il diedro in uno scafo più esso è morbido su acque mosse. Infatti mi è stato detto che “Fat Cat” era uno dei migliori scafi della classe III su acque agitate.

Lady Aitken, uno dei piloti femminili più qualificati nelle gare offshore, ha gareggiato anche in varie corse della classe, II adottando 3 motori: il terzo motore era montato al centro del bordo di uscita dell’ala/ponte di collegamento.

RAM WING 21

Catamarani da CORSA dal libro “Dhows” to Deltas” di Renato Sonny Levi

Questo progetto deriva da quello del Fat Cat con diverse modifiche.

Nel 1967 ci fu un cambiamento nel regolamento della classe III relativo alle aperture del cockpit. Vennero ammessi quattro cockpit separati: questo consentiva il loro collocamento negli scafi e la adozione di un profilo alare più sottile.

Utilizzai un profilo USA 3S-B modificato, con uno spessore pari al 12% ed appiattii la parte inferiore del 15% dalla corda fino al bordo d’uscita. La sezione più sottile e gli scafi più bassi consentirono una considerevole diminuzione della sezione frontale e di conseguenza una minor resistenza aerodinamica.

Diversi giudizi piuttosto dogmatici sono stati espressi sul problema della posizione in cui dovrebbe trovarsi il centro di pressione (C.P.) in queste imbarcazioni rispetto al baricentro (C.G.). Non molto tempo fa ho letto un rapporto preparato da un gruppo di esperti che avevano effettuato alcune prove su un «ram wing» da me progettato. Si diceva che il progetto non poteva funzionare perché il C.P. si trovava a poppa del C.G.: questo dovrebbe significare implicitamente che uno scafo di questo genere può andar bene solo se il <centro di pressione> si trova davanti (più a prua) del baricentro.

Posso solo pensare che questa conclusione sia stata raggiunta seguendo la teoria aeronautica: ma gli aeroplani possono (e lo fanno, infatti) volare con il centro di pressione più indietro del baricentro. lo stesso ho progettato un aeroplano, il Moonson, basato su questo principio. Si deve ammettere una stretta analogia tra i “ram wings” e gli aeroplani quando si arriva a parlare del problema dell’equilibrio.

Per tale motivo bisogna tener conto anche di altre due forze: la spinta (T) e la resistenza aerodinamica ed idrodinamica (D). La resistenza idrodinamica provoca l’abbassamento della prua. Senza entrare nei dettagli si può comunque affermare che la miglior posizione per il centro di pressione (C:P.) dipende dalla grandezza e dalla posizione delle forze coinvolte.

Con uno scafo di questo tipo, ‘relativamente’ lento si possono, per esempio, ottenere velocità più elevate con un C.P. spostato molto a prua in modo da ottenere un sollevamento di questa e quindi una riduzione della superficie bagnata. La stessa posizione del C.P. in una barca veloce, invece, può provocare un eccessivo sollevamento della prua con conseguente pericolo di rovesciamento (di mettersi la barca in testa, insomma).

Nel caso particolare di questo «ram wing ho spostato l’ala ancora più a poppa rispetto agli scafi in modo di avere il C.P. più vicino al baricentro. Il diedro è stato ridotto di circa la metà rispetto al Fat Cat di Lady Violet: questo comporta un aumento di velocità ma anche una navigazione più dura. Lungo gli scafi ho ricavato dei gradini (tipo redan): ho introdotto questa modifica per diverse ragioni.

Primo, per cercare di ridurre la superficie bagnata, secondo (e forse ancor più importante) per ridurre il beccheggio, dato che così si ottengono quattro superfici di contatto con l’acqua invece che due. La riduzione del movimento di beccheggio è particolarmente desiderabile in un «ram wing » dato che l’ala può operare più efficacemente quando le variazioni rispetto all’angolo di Incidenza optimum sono minime. Una accurata regolazione dell’angolo di incidenza migliore e del miglior assetto della barca si può ottenere per mezzo di flaps disposti sul bordo d’uscita del gradino e/o sullo specchio di poppa.

Infine la costruzione di questo “ram wing” è stata notevolmente semplificata in modo di avere strutture più leggere e più economiche.

 

Articolo pubblicato sulla rivista nautica “Mondo Sommerso” – luglio 1972 e riprodotto da AMB p.g.c. dell’autore.

 

L'articolo Catamarani da CORSA dal libro “Dhows to Deltas” di Renato Sonny Levi (ultima puntata) proviene da Nautica e barche d'epoca - Altomareblu.

A2VA2V consegna il crewboat A2V-25-CB a Peshaud International

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Un caldissimo pomeriggio del mese di luglio del 2015 ho ricevuto una mail da parte di Gianluca Guelfi, una persona con la quale non avevo ancora avuto contatti. Nel leggere la sua mail di presentazione, si complimentava con me e tutto lo staff di AltomareBlu, in quanto trovava il nostro sito veramente interessante, definendolo testualmente: una “perla rara” nel web.

Advanced Aerodynamic Vessels – Crewboat A2V 25 CB

Advanced Aerodynamic Vessels

A2V Advanced Aerodynamic Vessels

Il testo integrale della mail:

Ho letto con passione tutti i vostri articoli e contengono una incredibile memoria storica per tutta una nuova generazione di progettisti, a cui appartengo. Solo guardando indietro questa bellissima storia fatta di barche veramente riuscite, cantieri sani, progettisti innovatori e tanta ricerca dai motori ai propulsori, mi fa riempire di motivazione e amare il mio lavoro.

Leggendo gli articoli di Levi e di Harrauer ho visto il panorama desolato che esiste oggi, fatto di yacht demisurati, scafi mal riusciti e progettisti mediocri. Adoro gli articoli di Antonio Soccol per la loro schiettezza e la sua perfetta visione critica ma vera, di questo triste scenario attuale fatto di brutte barche, lobby universitarie, cantieri loschi… che tutti gli altri mi sarebbe piaciuto incontrarlo un giorno, mi dispiace molto che se ne sia andato.

Non mi sono presentato, sono Guelfi Gianluca un giovane ingegnere nautico e lavoro in Francia dove ho fondato due anni fa insieme ad altri una giovane società di ricerca nel campo della nautica. Qui il Francia, costa ovest, sono venuto per lavorare nella ricerca “aeroidrodinamica” di barche a vela nello studio di Marc Lombard a La Rochelle.

Advanced Aerodynamic VesselsQui ho conosciuto delle persone che mi hanno insegnato tanto, dei giovani appassionati che amano quello che fanno, ho respirato l’ambiente “Mini transat” fatto di barche di 6.5m super tecnologiche costruite spesso in garage.

Qui tutti si conoscono e idee fantastiche nascono nei bar tra navigatori e progettisti. Poco cambia se in Altomareblu si parla di barche a motore, è questo ambiente ricco di passione, ricerca, esperimenti e innovazione che amo e che ho sempre cercato e che esisteva ancora una trentina di anni fa per la motonautica.

Ci siamo trovati trovati cosi con quelli che oggi sono i miei colleghi, intorno a questa voglia di ritrovare un ambiente dove la bellezza della nautica di sposta a quella della ricerca scientifica. Insieme abbiamo trovato il modo di lavorare su un nuovo progetto di barche a motore da lavoro, che sfrutta l’efficienza dell’aerodinamica per migliorare le performance energetiche di queste barche.

Ci ha sorpreso e incoraggiato vedere che parte di questa idea era stata già esplorata e discussa da progettisti del calibro di Levi e Harrauer, verso la fine della loro carriera, quando pensavano alle barche del futuro.

L’idea di per se esiste da molto tempo data la sua semplicità, i WIGo i SES per esempio, ma come dice l’arch Franco Harrauer, i progetti sono sempre stati frenati a causa delle troppo grandi ambiziosi in termini di velocità per esempio, quindi con forti limiti in termini di sofisticatezza della propulsione/sicurezza etc.

Il nostro obiettivo e la nostra idea è stata quella di riprenderla rendendola semplice e sicura. Abbiamo lavorato per sviluppare una forza aerodinamica alta fin dalle basse velocità, in modo da limitare la velocità alla quale questa diventa significativa e la utilizziamo non per andare più veloci in assoluto ma poter ridurre a parità di carico utile il consumo di carburante.

L’altra linea di ricerca è stata quella della stabilità dinamica per creare un concetto sempre sicuro. Studiando la dinamica abbiamo anche analizzato le capacità dell’aerodinamica di smorzare i moti e migliorare la tenuta al mare.

Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels

Dopo un anno e mezzo di ricerca, principalmente numerica, abbiamo messo in acqua il nostro prototipo di misura che naviga qui a La Rochelle da circa 3 mesi. Il prototipo ha confermato quasi tutti i nostri risultati e dalla prima uscita ci ha dato veramente  delle belle sensazioni a bordo. Se possibile mi piacerebbe che inoltrasse questa mail all’arch. Harrauer ed all’ing. Levi.

Mi piacerebbe poter mostrare il progetto a loro che probabilmente hanno già immaginato questa barca. Colgo l’occasione per invitarvi a bordo del prototipo per venire a provarlo di persona qui a La Rochelle, mostrarvi le nostre ricerche e i nostri progetti per il futuro.

Dopo aver risposto all’ing. Gianluca Guelfi, complimentandomi per l’idea che ho subito definito come interessante e validissima, ho inoltrato all’arch. Franco Harrauer questa mail con tutto il suo contenuto chiedendogli di esprimere una sua opinione in merito a questo interessantissimo studio, cosi come era desiderio dell.ing. Guelfi.

Di li a pochi giorni la risposta di Franco Harrauer che di seguito si può leggere:

Carissimo Gianluca,

ho ricevuto tramite la cortesia dell’amico Giacomo di AMB, le foto del tuo CORAGGIOSO catamarano sperimentale. Complimenti per il tuo lavoro,  ma nelle foto non si possono vedere elementi necessari per un giudizio. Tuttavia, ritengo comunque molto interessante quello che hai realizzato.

Il piacevole DESIGN presuppone anche uno studio aerodinamico del tunnel e un impegno strutturale nello studio idrodinamico con i due Mercury a tutta potenza da un valore critico che deve essere superato con un ulteriore studio dell’idrodinamica ed incremento della propulsione.

Levi ed il sottoscritto (vecchi piloti) crediamo fermamente nel valore della ricerca e della sperimentazione.

Attualmente lavoro in Brasile per la progettazione di catamarani da lavoro per la Petrobras con propulsione ad eliche semisommerse.

Squid Bone Harrauer
Lo Squid Bone è un trimarano monomotore (1.700 KW) con eliche di superficie e velocità di crociera di 60 Nodi. Questo progetto deriva dai pattugliatori destinati ad un noto paese del Sudamerica. Un progetto in “stand by”, insieme al grande WIG.

Come puoi vedere la nautica non è in crisi, ma sono i cervelli in letargo! CORAGGIO…
Franco Harrauer

Questa la risposta incoraggiante di Franco Harrauer che incitava l’ing. Gianluca Guelfi a continuare nella sperimentazione e realizzazione poi del progetto divenuto esecutivo.

Sono passati oltre due anni da questo ultimo contatto con l’ing. Guelfi e qualche giorno fa ho ricevuto la sua ultima mail in cui mi ha comunicato la consegna della A2V del crewboat A2V-25-CB al committente Peshaud International. In effetti è la realizzazione conseguente al prototipo realizzato alla Rochelle. In questi giorni A2V consegna la sua prima barca commerciale crewboat basata sul sostentamento aerodinamico.

Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels

“Clementine” é il primo esemplare della A2V-25-CB Advanced Aerodynamic Vessels prodotto, un imbarcazione crewboat per il trasporto tecnici disegnata e costruita in Francia per l’armatore Peschaud International, che la metterà in servizio in Gabon. L’imbarcazione ha completato con successo tutti i test a mare ottenendo la classe Bureau Veritas e la validazione della bandiera Francese.

Un importante conferma per l’applicazione della tecnologia A2V di sostentamento aerodinamico applicato alle barche da lavoro.

Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels
Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels
Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels

Clementine raggiunge una velocità di servizio di 40 nodi con solo due motori Scania da 600 CV ciascuno. Veramente interessante il valore del consumo sul miglio percorso che risulta essere più che dimezzato rispetto ad altre  imbarcazioni concorrenti.

Questo risultato consente grandi economie nel consumo di carburante per gli armatori; nello specifico si risparmiano circa 500 000 litri di gasolio in un anno per ogni imbarcazione.

I consumi ridotti notevolmente ed i tempi di trasferimento ridotti, con il confort da business class collocano la A2V in una posizione privilegiata con uno nuovo standard interessante per il trasporto marittimo dei passeggeri.

In contemporanea alle costruzioni in corso, la A2V sta sviluppando nuovi progetti basati sullo stesso concetto. Pertanto continua il lavoro di ricerca e sviluppo sia tramite simulazioni numeriche che attraverso il prototipo in scala reale. Dopo circa tre anni e più di 4000 miglia di navigazione percorse, il concetto di questa unità è risultato essere validissimo in molteplici condizioni meteo marine, raggiungendo la velocità di 60 nodi.

Congratulazioni a tutto lo staff tecnico giovane e coraggioso di questa nuova realtà che sta prendendo il largo ed auguriamo un meritato successo, senza dimenticare quello che i nostri “Autorevoli Maestri – Renato Sonny Levi e Franco Harrauer” ci  hanno insegnato: effettuare tanta sperimentazione e test di collaudo severissimi in cui sperimentare ogni particolare ed ogni nuova soluzione, fino a quando si raggiungono risultati certi.

E’ da qui che si parte per arrivare al successo di un’idea!

AltoMareBlu

 

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La lunghezza dei pattini nelle carene a V profonda

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di Antonio Soccol

Qualche tempo fa Ivan, un nostro storico & affezionato lettore, ci aveva scritto ponendoci queste domande:

  • Quanti pattini servono realmente su una carena seria e performante, visto che ogni costruttore ne mette più o meno quanti ne vuole?
  • Quanto incide il buon posizionamento dei pattini su di una carena?
  • La forma di un pattino come deve essere?
  • Inoltre perché ultimamente la tendenza di fare terminare i pattini a poco più di mezza barca, mentre nelle carene Levi arrivano tutti a poppa…
  • Qual è il vantaggio – svantaggio di fare finire i pattini prima dello specchio di poppa?”

Barca Sapri Vega Levi

Data l’importanza dell’argomento sul quale da anni si rincorrono sciocche credenze, avevo chiesto al comitato di redazione di AltoMareBlu di lasciare a me la risposta. Ma, (c’è sempre un ma nelle storie, vero?) sono poi successe quasi contemporaneamente due cose:

  1. proprio in quei giorni una rivista specializzata ha pubblicato un articolo in merito a questo tema, articolo dove un noto progettista nautico che stimo e apprezzo sosteneva tesi quanto meno confutabili;
  2. la mia salute ha subito un paio di KO davvero molto faticosi da incassare e questo spiega in parte il mio forzato silenzio del quale chiedo scusa all’interessato Ivan.

Cosa  aveva scritto nel suo articolo il progettista che stimo? Queste testuali parole:

Importante è che i pattini non si estendano troppo oltre la linea di ristagno (cioè la linea costituita dal congiungimento di tutti i punti di ristagno per ogni sezione longitudinale della carena)”. In brutale sintesi sembrava quasi un invito a tagliare i pattini a metà carena.

Va subito detto che se Ivan avesse voluto risposta immediata avrebbe potuto trovarla proprio su AltoMareBlu  a (La progettazione degli scafi plananti di Renato “Sonny” Levi), dove Renato “Sonny” Levi scrive testualmente (e se lo dice lui che è uno degli inventori delle carene a V, è voce autorizzata):

Questi pattini aumentano la stabilità dinamica sia direzionale che trasversale.

  • Il primo caso è dovuto ad un aumento di pressione sulle parti verticali esposte alla spinta dell’acqua.
  • Il secondo caso è dovuto ad un incremento di incidenza e di superficie della parte più immersa.

Un concetto diffuso e sbagliato sostiene che i pattini sono utili solo nella parte prodiera e che creano solo attrito a poppa. Questo non è esatto. Questa conclusione è probabilmente basata sull’esistenza di carene che navigano troppo piatte con pattini lungo tutto il fondo. In questi casi, togliendo una parte dei pattini a poppa, si riduceva il sostentamento e si aumentava la velocità.

Si poteva ottenere molto probabilmente lo stesso risultato, se non maggiore, lasciando lavorare i pattini lungo tutta la carena, ma spostando il baricentro della barca più a poppa. Un progetto riuscito per uno scafo da mare aperto è quello che consente di navigare in modo efficiente entro tutta la gamma di velocità richieste.  Dovrebbe essere in grado di mantenere alte velocità in acque mosse con il massimo comfort. Per una determinata misura di scafo il grado di comfort dipende dalla velocità: più questa è elevata, più è elevato il movimento.

Aumentando il diedro nella zona di impatto, si migliora questa situazione con la penalità di un incremento di attrito alle basse velocità. Il punto focale nella zona di alto impatto si muove progressivamente verso poppa, mano a mano che la velocità aumenta fino al raggiungimento delle velocità molto elevate, V /Rad L > 8 sarà proprio all’estrema poppa. Questo indica che il diedro in un progetto deve essere variato secondo la velocità.

carena triciclo rovescio SHOT

Alla luce della complessità della faccenda ho deciso di chiedere l’opinione ad una serie di altri progettisti nautici. E alcune inconfutabili realtà sono venute a galla. Un grande esperto mi ha per esempio spiegato che:

I pattini che si estendono verso poppa oltre la linea di ristagno aumentano la resistenza?

In questo caso l’autore dell’articolo riporta ciò che c’è scritto sul libro di Costaguta (Fondamenti di Idronautica), un bellissimo libro, ma un po’ vecchiotto (1980). Nel libro, Costaguta riportava le teorie di Eugenie Clement che erano ancor più vecchie (1960-64). Tali teorie si basavano sui pochi dati allora a disposizione, tutti elaborati dalle prime serie sistematiche di scafi plananti che avevano caratteristiche geometriche ben definite (angolo di rialzamento del fondo molto contenuto intorno ai 10°).

Premesso questo perché  ho detto che ciò è vero ma solo in parte?

Per dare una risposta bisogna prima  capire gli effetti positivi e negativi che possono avere i pattini ed alla fine fare il solito bilancio.

Vantaggi:

Pattini di Carena per prima cosa i pattini riducono la superficie bagnata, e ciò avviene proprio nella zona della linea di ristagno (c’è una bella figura nel libro di Sonny Levi che chiarisce perfettamente il concetto). Quindi  se ci limitiamo a valutare quest’effetto è chiaro che non ha senso far proseguire i pattini verso poppa. Ma i pattini possono anche far aumentare la portanza a poppa (la barca esce un po’ di più dall’acqua e la resistenza diminuisce) raddrizzando il flusso che tende a sfuggire lateralmente, fenomeno questo che aumenta all’aumentare dell’angolo del fondo. Infine aumentano la stabilità direzionale e trasversale.

Svantaggi:

quando invece ci sono  trappi pattini o pattini troppo grandi, si hanno dei problemi fondamentalmente dinamici: la barca diventa dura e governa male perché tende a rimanere piantata sulle pareti laterali dei pattini. Si verifica anche un aumento di resistenza perché all’aumentare delle dimensioni/numero il  disturbo idrodinamico prodotto è maggiore del beneficio prodotto dalla maggiore portanza.

exocetus volans in planata

Conclusioni:

Ai soli fini della resistenza, proseguire i pattini a poppa ha senso quando la velocità è sufficientemente alta da avere la generazione di una significativa portanza, portanza che la presenza dei pattini aumenta, altrimenti il disturbo idrodinamico prodotto è maggiore del beneficio. Quindi i pattini   a poppa su un motoscafone semidislocante non hanno senso.

Inoltre i pattini a poppa lavorano di più all’aumentare dell’angolo di fondo. Con angoli elevati l’effetto come raddrizzatori di flusso è maggiore, e di conseguenza sarà maggiore la portanza sviluppata. Per piccoli angoli di fondo invece l’effetto raddrizzante è minimo perché il flusso è già abbastanza dritto per conto suo e, di conseguenza,  il disturbo idrodinamico prodotto sarà maggiore del beneficio. Tra l’altro questa era la situazione che aveva a disposizione all’epoca Clement dalla quale aveva dedotto le sue teorie.

Infine, dato che i pattini generano un aumento di portanza, che a sua volta genera il cambiamento delle condizioni di equilibrio della carena (trim), è necessario, prolungando i pattini a poppa, arretrare il baricentro della barca (centro di gravità) per avere sempre l’assetto ottimale (viceversa se elimino i pattini a poppa) . In pratica bisogna ribilanciare, ottimizzandola,  la barca con e senza pattini. E questo è un altro elemento che Clement trascurò a suo tempo, perché fece le prove con e senza pattini nelle stesse condizioni.

Insomma, quasi sessanta anni di confusione e di stupide polemiche, nascono da una sperimentazione bufalo/tarocca fatta da questo Eugenie Clement.

Naturalmente stiamo parlando di barche con trasmissioni classiche: gruppi efb, eliche immerse, eliche di superficie. Perché se entriamo nel settore delle trasmissioni a idrogetto alcuni valori possono cambiare. “In questi casi – mi dice l’amico progettista Sergio Abrami – io preferisco troncare i pattini all’incirca alla 6° ordinata di calcolo per non disturbare l’entrata dell’acqua nel jet”.

Surfury - Sonny Renato Levi

Conclusioni finali:

I pattini possono arrivare tranquillamente sino a poppa, basta saper dar loro l’incidenza corretta e conoscere esattamente dove sia il centro di gravità dello scafo. Impresa facile per chi sa progettare. In caso contrario esiste sempre la risposta che diede Renato “Sonny” Levi ad un folto gruppo di tecnici che gli chiedevano se sapesse dove si trovava appunto il Centro di Gravità di un suo importante progetto: “Beh, – disse il grande Levi con aria irridente – possiamo sempre mandar dentro alla barca un cane da tartufo e vedere se lo trova!”

Questo aneddoto storico serve per chiudere in allegria sessanta anni di stupidaggini create anche con malizia da parte dei molti “denigratori di professione” di cui siamo maledettamente ricchi. Gente che parla male degli altri per mettersi in evidenza e che poi spara solo balle a gogò. Certo, toccare i pattini significa saper progettare una carena e quindi una barca, cosa ormai piuttosto rara.

Caro Ivan, spero di esser stato esaustivo e aver così risposto alla tua domanda e grazie per avermi concesso di far finalmente luce su un misterioso dettaglio così importante.

Altomareblu – Tutti i diritti riservati. Note Legali

 

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New Corsair Classic by Levi Boat Company

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A fine Gennaio del 2010 ho ricevuto una mail che attendevo da qualche tempo.

Era in costruzione una nuova barca Levi, di più non mi era dato sapere ma sia la fonte che la persona che mi avevano passato questa indiscrezione, godevano di tutta la mia stima per sapere che una nuova pagina Levi stava per essere scritta e infatti… il sogno si è avverato.

Sono stato invitato presso i cantieri della Levi Boats Company a Venezia e a Febbraio 2010, ho potuto conoscere Antonello Villa e Martin Levi che su progetto di Renato “Sonny” Levi, hanno modernizzato il Corsair del 1999.

Al primo impatto visivo impressionano le accurate rifiniture, non certo usuali per unità di queste dimensioni. A dire il vero e forse per assurdo, fuori dall’acqua è anche meglio perché, l’opera viva di questa fantastica carena si fa ammirare, è un concentrato di studio, tradizione, sicurezza e di storia e le fotografie parlano da sole. L’angolo al diedro di poppa è di 23° e potete immaginare l’emozione quando ho visto K… il mio cuore ha subito ricordato la storia di questa carena che si ricollega al famosissimo Settimo Velo e alla progenitrice ‘A Speranziella.

 

Il colore l’ho trovato elegantissimo e il pattino in legno è veramente una sfumatura d’eleganza. Ma è l’insieme che rende questo oggetto, un culto per i veri appassionati di mare e di barche costruite con un certo criterio di tecnica, eleganza, armonia e con la cura del particolare, come può essere il logo (il famosissimo Ippocampo con l’ombrellino) ricamato dietro i sediolini o al semplice  portachiavi personalizzato con il logo Levi di cui, mi è stato fatto gentilissimo dono e che conservo con cura e estrema gelosia.

Il ponte è tutto in doghe di teack come il passo d’uomo, differente e molto più bello del precedente e primo prototipo Corsair che era in materiale meno nobile.

Non è sempre facile immaginare di vedere una carena Levi riproposta in chiave moderna, ma indubbiamente è certo aspettarsi che i tempi, la tecnologia, i materiali più leggeri, le nuove motorizzazioni, possano ancora dire e fare moltissimo su progetti di carene dalla indiscutibile e comprovata tenuta in mare. Come per il passato, questa nuova creatura Levi, ha avuto il vantaggio di essere stata costruita con quanto di tecnologicamente più evoluto è disponibile attualmente sul mercato. Forse anche troppo ma la customizzazione è anche una scelta del fortunato ed esigente cliente che… sa benissimo di avere una barca unica, spettacolare e autentico gioiello del mare.

La cura degli interni è quasi maniacale, l’armonia delle forme e degli spigoli arrotondati e la finitura dei materiali, la pone al vertice della gamma, tra una barca da diporto e un mini yacht di lusso, con una carena che fa indiscutibilmente la differenza, non temendo confronti e paragoni anche con imbarcazioni più grandi e di rinomata fama. Sicuramente le doti marinaresche di questa tipologia di carena, la tenuta in mare e il piacere di guida che offre, evidenziano una barca che si farà notare tra le onde del mare, mentre tante altre unità, sono costrette, con mare formato, a rifugiarsi nel più vicino sorgitore.

Già… queste sono le prime indicazioni di chi ha avuto la fortuna di provarla in tutti questi mesi, con differenti condizioni di mare, certi che una carena Levi non teme il mare formato, anzi, è in queste condizioni estreme che da il meglio di se stessa invece di vederla navigare su mari calmi o piatti. Questo la dice lunga sul periodo di immobilità progettistica che sta vivendo la nautica contemporanea poiché, contrariamente, vede i costruttori limitare la performance  delle loro imbarcazioni solo con mare “leggermente mosso”.

Peccato non aver visto questa barca al 50° Salone Internazionale di Genova, non mi sarebbe dispiaciuto vederla ancora.

Dati Tecnici di Corsair Levi Classic 2010:

Modello Corsair
Lunghezza f.t. m 9.10
Lunghezza scafo m 8.25
Lunghezza galleggiamento m 7.25
Larghezza massima m 2.75
Dislocamento pieno carico Kg 6250
Immersione m 0.80
Serbatoio carburante L.540
Serbatoio acqua L. 200
Potenza installabile da 340 a 630 hp
Velocità massima 50 Nodi
Posti letto 4
Persone trasportabili 8
Categoria CE B

I motori sono 2 YANMAR 6BY2 da 260 Hp accoppiati a piedi YANMAR ZT350.

Eliche standard Mercruiser in acciaio con passo da 24″ e dislocamento medio (dotazioni complete, 2 persone, pieno ai serbatoi acqua, 1/3 serbatoio gasolio) abbiamo registrato una velocità GPS ponderata (media rilevazione nelle 2 direzioni opposte) di 45 nodi in condizioni di mare calmo e vento quasi assente.

MArtin Levi e Alessandro Vitale di AltoMareBlu Martin Levi e Antonello Villa

Nelle immagini: a sinistra Martin Levi e il sottoscritto seduti sulla tuga di Corsair, a destra, Martin e Antonello Villa che hanno dato vita a questa nuova realtà della nautica firmata Levi Boats e “Sonny” Levi.

"Sonny" e Martin Levi su Corsair Classic

Una “chicca” per i lettori di AltoMareBlu: “Sonny” e Martin Levi su Corsair Classic.

A voi le valutazioni, io ho atteso quasi un anno per poter scrivere questo articolo, poter parlare di questo gioiello, spero di aver fatto cosa gradita a tutti gli estimatori e gli appassionati della buona nautica, non c’è da dimenticare che il Corsair è un prodotto italiano, costruita interamente a Venezia dal Cantiere Nautico Portegrandi (www.portegrandi.com) del maestro d’ascia Gilberto Crosera e le sue maestranze dove l’ho potuta “conoscere”…

Levi Boat Company
via Mestrina 64/B
30172 Venezia Mestre
Tel/Fax +39 0421 332640
Sito web: www.leviboats.com

 

 

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Il restauro di Budda Special – (III puntata)

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di Giacomo Vitale

Il 15 settembe del 2009 demmo notizia su AltoMareBlu di “Budda Special“, un offshore progettato e costruito dal genialissimo Salvatore Gagliotta e rimasto per 43 anni a dormire, prima in un capannone e poi per un periodo di circa due anni alle intemperie, prima di essere acquistato dal nostro amico Marcello, che annunciava l’inizio dei lavori di restauro di questo mitico offshore…

Budda Special di S.Gagliotta

Alcuni cenni storici sul “Cantiere Gagliotta”

Nacque a Napoli nel 1950 per la genialità del suo ideatore Salvatore Gagliotta, appassionato di motori e di nautica, non ancora trentenne. Insieme ad alcuni giovani appassionati, che negli anni a seguire divennero dei personaggi noti in progettazioni e costruzioni aeronautiche italiane, Salvatore Gagliotta aprì un cantiere nelle grotte di tufo di “Mergellina” a Napoli, dove nacquero le sue prime imbarcazioni veloci, oltre ad alcuni apparecchi ultraleggeri per il volo.

Budda SpecialLa genialità di “Salvatore” gli permise di progettare e costruire alcune carene a V profondo, caratteristica fondamentale di tutte le sue creazioni realizzate negli anni successivi, facendo presa sui giovani della Napoli più ricca che, oltre a chiedere barche performanti nelle prestazioni, le volevano anche comode ed eleganti.

Nelle numerose interviste rilasciate da Salvatore Gagliotta a Luciano De Crescenzo, diceva che quando era giovane i naviganti a Napoli si dividevano in due partiti:

  • I Gagliottisti, gente dura e sportiva che correva con i suoi bolidi efficientissimi e spartani
  • Gli “Aquaramisti”, quelli che cercavano di navigare con gli Aquarama di Riva, riconosciuti come sofisticati oggetti di ebanistica, ma che secondo il geniale Salvatore e non solo, non avevano nulla di marino.

E’ risaputo che le imbarcazioni prodotte da Salvatore Gagliotta erano scelte ed apprezzate da veri intenditori, poiché puntavano su efficienza e prestazioni di tali unità e non sulle inutili apparenze. Dopo i primi anni di attività pionieristica ed amatoriale il cantiere, senza tradire i principi costruttivi detti, passò ad una produzione semi industriale ed i brillanti risultati agonistici conseguiti negli anni ’60 – ’70 furono determinati per il successo della produzione delle sue barche.

Nel n° 80 di ottobre 1968 di Nautica, Carlo Marincovich scriveva:

L’unico tra gli italiani che ha dimostrato di valere molto in campo internazionale è il napoletano Salvatore Gagliotta, che con il suo cabinato Budda Blitz è sempre stato alle spalle di potentissimi bolidi, superando di gran lunga in prestazioni altri cabinati delle stesse dimensioni e costruiti da grandi complessi cantieristici.

Sempre in quel periodo, famosa fu l’affermazione di Don Aronow, mitico produttore dei famosi Cigarette americani secondo cui:

Le uniche carene in Europa degne di essere copiate sono quelle di Gagliotta.

budda blitz

Dopo questa breve e simpatica parentesi storica ho evidenziato che il “Budda Special” salvato è lo scafo gemello del “Budda Blitz”. di cui le immagini successive che indicano la progressione dei lavori di restauro messi in essere dal suo “salvatore ed armatore” Marcello!

Viareggio Bastia Viareggio

Budda Special alla Viareggio Bastia Viareggio del 1968, prima di ritirarsi per un urto contro un corpo gallegiante, costringendo i piloti a spiaggiarla per evitarne l’affondamento dovuto ad una falla apertasi verso poppa nella carena.

Inizio lavori restauro – ottobre 2010:

Le prime fasi di lavorazione sono state dure perché si è provveduto a smontare tutte quelle parti interne dello scafo che dovevano essere rimosse. Inoltre è stato eseguito un notevole lavoro di lavaggio e sgrassatura della carena, sia in sentina che in opera viva. Questo per fare in modo che il trattamento epossidico successivo desse il massimo risultato possibile.

Sono state sostituite tutte le parti in legno sfibrate ed inservibili, come si evince dalle foto di seguito pubblicate ed alle quali non seve aggiungere altro! Assoluamente un lavoro impegnativo e scrupoloso, che evidenzia gli ottimi risultati raggiunti.

fasi-lavorazione-scafo fasi-lavoro-fondo-scavo rinforzo-fondo-vano-motori rinforzo-carena-fondo-vano-motori

restauro Budda Special vista-totale-ponte

Anno 2011 mese di luglio:

Terminate le fasi di ricostruzione delle parti danneggiate, si è proceduto al posizionamento e fissaggio delle stesse con ulteriore levigatura di tutto lo scafo, dal ponte all’opera morta ed alla carena. La fase a seguire è stata la laminazione di tutto lo scafo con resina epossidica, operazione eseguita nel periodo caldo, luglio 2011, in modo che la resina, con temperature comprese tra i 20°- 30° Centigradi, diviene molto fluida, permettendo al legno lavato e ben asciutto, con umidità relativa inferiore al 12%, rilevata con apposito strumento Skinder, di assorbirla bene in profondità, applicando un paio di mani in successione, appena la prima diventa attaccaticcia.

Questa operazione abbrevia molto le fasi di laminazione, poiché non è necessaria la carteggiatura tra una mano ed un’altra, con tempi di lavorazione e fatica che si accorciano. Ottimo il risultato come si può vedere dalle foto di seguito pubblicate.

budda-special-trattamento-epossidico budda-special-trattamento-epossidico-scafo budda-special-scafo-trattamento-epossidico budda-special-restauro

Anno 2011 mese di ottobre:

Dopo la laminazione e le conseguenti mani di fondo passate sull’intera carena in più tempi, finalmente si giunge alla fase definitiva della pitturazione che, come si può evincere dalle foto, è molto bella e mette in evidenza la cura con la quale si è portato avanti questo meticoloso lavoro di ripristino dell’ eccezionale offshore…

pitturazione-carena-opera-morta budda-special-pitturazione carena

Nelle successive foto si vede “Budda Special” posto su di un carello stradale, mentre viene trasferito  al centro commerciale “Le Fate” – Località Ardensa – Livorno, dove l’artista pittore Daniele Consani ha organizzato una “mostra storica” di auto, motociclette e quadri di autori Livornesi che è aperta al pubblico dal 3 dicembre 2011 al 15 gennaio 2012.

Bella la scelta dei colori del tutto uguali a quelli originali con i quali questo offshore correva.

budda-special-vista-specchio-poppa budda-special budda-special-gagliotta restauro ultimato consegna

budda-special-olio-tela 70x100 altomareblu-viareggio-bastia-viareggio mostra-d'epoca mostra d'epoca

Le nostre più vive congratulazioni a Marcello che ha dimostrato con il suo grande atto d’amore di essere un vero appasionato di barche d’epoca, impegnandosi nel recupero totale di un offshore di tutto rispetto, progettato da uno straordinario Salvatore Gagliotta che oggi non è più. Chi l’ha conosciuto, non potrà mai dimenticarlo per genialità, semplicità e per quello sguardo molto profondo e vivo, caratteristico degli sciuscià napoletani!

Nella prossima puntata documenteremo i lavori di montaggio dei motori, impianto elettrico, strumentazione ed i relativi stern-drive, mostrando anche un filmato dell’offshore in navigazione…

“Budda Special” è ritornata a vivere e la sua storia continua…

 

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Mini Drago Arrow a Rimini

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Tra le barche progettate da Renato “Sonny” Levi un modello decisamente corsaiolo è il Mini Drago, costruito dai Cantieri Italcraft di Gaeta nell’apposita sezione di Bracciano che era dedicata alle barche in legno e dalla quale nacquero i modelli Sarima, Drago e Mini Drago, tra questi, un modello denominato Arrow.

Mini-Drago-Arrow Mini-Drago-Arrow-1

DATI DI TARGA

  • Lunghezza f.t.: 8,50 m
  • Larghezza max.: 2,00 m
  • Angolo di diedro allo specchio di poppa: 25°
  • motori e potenza max. nominale: Aifo 2 x 135 CV a 3200 g/min
  • Potenza totale agli assi: 2 x 128 CV = 256 CV
  • Numero cilindri: 6
  • Ciclo: 4 tempi diesel
  • Trasmissione: step drive
  • Eliche: supercavitanti e controrotanti

Mini-Drago-posto-comando Mini-Drago-posto-comando-1

Lavori eseguiti nell’ottobre 2009:

Rimessaggio, in cantiere, con motori sbarcati e portati in officina per l’esecuzione delle seguenti operazioni:

  • Smontaggio e revisione di n.2 alternatori e sostituzione di cinghie trapezoidali in gomma.
  • Smontaggio e revisione di n.2 motorini di avviamento (pignoni nuovi).
  • Sostituzione di due pompe Jabsco (nuove) per circolazione acqua complete di giranti in gomma.
  • Revisione completa scambiatori acqua dolce. Smontaggio e montaggio.
  • Sostituzione di manicotti in gomma per circolazione acqua.
  • Sostituzione delle cinghie trapezoidali dei motori per circuito acqua e raffreddamento.
  • Smontaggio invertitori e parastrappi, cambiato olio, gommini, guarnizioni e tubazioni in gomma.
  • Cambio olio motori e n.4 filtri.
  • Revisione e taratura completa (dal pompista) di n.2 pompe di iniezione con messa in fase.
  • Taratura n.12 iniettori.
  • Sostituzione degli zinchi per correnti galvaniche nell’impianto di raffreddamento.
  • Smontaggio e rimontaggio di n.2 teste motori con sostituzione delle valvole e prova delle medesime con rettifica del piano e delle sedi delle valvole. Serie completa guarnizioni.
  • Controllo compressione dei n.2 motori.
  • Smontaggio e rimontaggio assi ed eliche, sostituzione degli assi in diametro maggiorato a 32 mm con boccole in “Pom.c” e sostituzione eliche con SBM Scaccabarozzi Monza. Eseguito nuovo allineamento motori.
  • Sostituzione n.4 filtri di alimentazione con pulizia dei decantatori e spurgo bolle d’aria per messa in moto
  • Revisione completa impianto elettrico.

La barca ha le seguenti dotazioni di sicurezza: Eco, Radar, accessori per la navigazione S.L., inclusa la zattera…

Documentazione originale dello scafo e dei motori in ordine, dispongo di pezzi e materiali di ricambio

Mini-Drago-Arrow-vista-sinistra Mini-Drago-Arrow-vista-dritta

Le condizioni generali della barca e specialmente nelle strutture importanti come carena: opera via ed opera morta, coperta ecc. sono più che buone, così come per la meccanica ed i motori ed è stata sempre curata nel giusto modo e sempre da persone professionalmente qualificate.

Mini-Drago-Arrow-alata-vista-dritta  Mini-Drago-Arrow-prua

 

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Shaft 34 C&B in vendita a Napoli

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Shaft-34-1 Shaft-34-2

Dati di targa:

Cantiere: Cigala & Bertinetti
Modello: Shaft 34
Anno costruzione: 1991
Lunghezza: 10,10 m
Larghezza: 2,78
Limiti navigazione: oltre 12 miglia dalla costa
Motori: Volvo Penta modello AQ AD 41A
Potenza: 2 x 200 HP
Trasmissioni: stern drive – Duoprop
Velocità max.: 36 nodi
Velocità di crociera: 28 nodi

Descrizione imbarcazione:

La barca si presenta in ottime condizioni, con rifacimento totale delle tappezzerie interne ed esterne eseguite negli anni 2010 – 2011 e le condizioni attuali sono pari al nuovo.

Motori:Shaft-34-3

I motori Volvo Penta 200HP Duoprop sono stai interamente revisionati e sostituite le turbine con quelle dei 231. Inoltre sono stati revisionati:

  • scambiatori di calore
  • pompe nafta
  •  iniettori
  • alternatori
  •  motorini avviamento,
  • pompe acqua ecc..

Strumentazione di bordo per la navigazione:

  • Gps : Geonav 7′ plus – cartografico 3D – cartuccia del Mediterran Echo: Modulo aggiuntivo al GPS –  Geonav
  •  Boiler
  • Wc elettrico
  • Impianto 220 V
  • Caricabatterie
  • Stereo con comandi esterni

Inoltre sono presenti a bordo:

  • eliche rispetto
  • dotazioni di sicurezza complete.

Prezzo: 45.000 € – non trattabile. Vendo per passaggio ad imbarcazione di maggiori dimensioni.

Per contatti: tel.: 338 67 57 955 Amedeo

Shaft-34-4  Shaft-34-5

Barca visibile a Napoli:  in acqua fino ad ottobre 2012

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Nazca di Renato “Sonny” Levi in un racconto di Stuart Ashby

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Nazca Levi –  foto Rupert Richardson – 12 nov 1980 –  in partenza per l’isola di Capri – Italy

Lungo 55 piedi, Nazca era la barca più lunga costruita dal cantiere Elephant Boat Yard di Bursledon in quel periodo, sul fiume Hamble, vicino a Southampton. Il capannone dove è stata costruita era lungo solo 60 piedi, quindi si doveva risparmiare spazio in carena ed a poppa. A causa dello spazio limitato Nazca è stato costruito in posizione inclinata, il che significava tanto lavoro in più per assemblare lo scafo.

Dati di Targa barca classica NAZCA:

  • Lunghezza ft.: 16,92 m
  • Lunghezza al galleggiamento: 13,90 m
  • Larghezza max.: 4,8 m
  • Larghezza allo spigolo: 4 m
  • Immersione: 0,83 m
  • Diedro allo specchio di poppa: 22  1/2°
  • Peso: 18 tonnellate
  • Motori: Stewart + Stevenson V8 – 92 TI 650 HP
  • Velocità: 32 nodi

Barca classica Nazca Levi – Rupert Richardson

Le tavole della carena erano undicimila segmenti in cedro rosso brasiliano che furono assemblate in quattro strati incrociati tra loro a 45° sovrapposti a freddo ed incollati con colla urea-formaldeide della Aerolite.

I longheroni centrali, che fanno anche da supporto motori, erano in mogano.

I ponti strutturali sono stati laminati in iroko. Le paratie strutturali, le traversine e le cabine erano di compensato marino. I correnti del ponte erano di spruce.

Le parti scatolate erano in compensato di teak.

Barca classica Nazca Levi – Rupert Richardson

Le parti componenti della chiglia sono state tutte rimosse per circa 6″ a 8″ da ciascun lato della giunzione e per una profondità di circa 1/4″ per effettuare una laminazione con stuoia in fibra di vetro intrecciata e con resina epossidica WEST.

Queste parti sono state anche laminate all’interno. Le parti scatolate erano in legno di abete e compensato marino e si estendevano fino alla traversa, laminati nello stesso modo.

Ricordo ancora che lavorai molte ore per laminare queste aree, in particolare nel vano sotto la parte poppiera!

Renato “Sonny” Levi barca classica Nazca – Foto: Rupert Richardson 11 Nov 1980

L’interno è stato allestito in ciliegio leggero con una finitura non lucida. Will Hall, produttore di mobili e cognato di Tom Richardson, su indicazione specifica ha realizzato le parti in legno che sono state poi unite da John Chalcraft, un artigiano altamente qualificato, che aveva fatto apprendistato presso la vecchia ditta “Camper e Nicholson” – cortile a William St, Northam, Southampton.

Lo scafo, il ponte in legno e la sovrastruttura erano tutti rivestiti in WEST (resina epossidica) prima di dipingerla. Il colore della scafo era il “glassa britannico Blue”.

A causa dell’inclinazione degli alberi di trasmissione, i fori per i passaggio degli astucci erano lunghi e venivano fissati in maniera tradizionale con un foro pilota e poi con una barra di taglio appositamente realizzata, finché non è stato raggiunto il foro di diametro corretto per il passaggio dell’astuccio.

Il raggiungimento di un accurato allineamento di un taglio così lungo è fondamentale per le prestazioni della barca e richiede un esperto carpentiere. Il lavoro è stato affidato a Harold Aldridge, con i suoi cinquanta anni, oltre agli apprendisti Camper e Nicholson.

Nelle foto pubblicate si può vedere la finitura eccezionale dello scafo. Ciò è stato raggiunto con un’accurata esecuzione durante la fase di costruzione, seguita da preparazione e pitturazione qualificata.

Poiché ogni strato di appendice è stato montato, levigato a mano e controllato ad occhio, pianificando e poi levigando con lunghe tavole utilizzate a due mani e con vari strati di carta abrasiva a grana grossa sovrapposti e fissati alle estremità.

L’omogeneità della superficie di ogni strato è controllata dai costruttori di barche che lavorano a mano sulla superficie per assicurare che le irregolarità invisibili all’occhio siano state incollate. Quando questo processo è completo, viene montato lo strato successivo.

La levigatura è impegnativa ed affascinante. Se eseguita da esperti costruttori di barche, pone le basi per un’ottima finitura delle imbarcazioni.

Infine, sottocoperta è richiesto lo stesso livello di abilità e cura nella pitturazione. Il cantiere navale Elephant era fortunato ad impiegare Henry Biggs, un pittore esperto di yacht negli anni cinquanta, che aveva svolto il suo apprendistato sul fiume Hamble. È stato assistito da Adrian Murrey che in seguito ha continuato a dipingere yacht sul Hamble.

Barca Levi, Nazca e tutti i tecnici che hanno partecipato alla sua costruzione

Gli uomini che hanno lavorato il Nazca erano:

  • Richard Langton
  • Glen Murrey
  • Stuart Ashby
  • Jim Lucey
  • Will Hall
  • John Chalcraft
  • David Heritage
  • Alastair Garland
  • Harold Aldridge
  • Henry Biggs
  • Steve Cole
  • Rupert Richardson
  • John Richardson
  • Adrian Murrey e Bob Gibson.

Nazca

Il proprietario di Nazca, Kevin Cooper, ha presentato tutto il personale del cantiere navale Elephant Boat Yard di Bursledon sul fiume Hamble vicino a Southampton con un cestino di peltro su cui era scritto ‘Nazca 1980’.

Renato “Sonny” Levi ha visitato il cantiere mentre Nazca era in costruzione e ricordo la qualità ed il dettaglio dei suoi piani di costruzione. Le immagini mostrano la pura eleganza funzionale del suo design.

Ho lasciato l’Elephant Shipyard circa 18 mesi dopo la costruzione di Nazca, ma vedo che stanno ancora costruendo e ripristinando barche in legno e molti degli uomini che hanno costruito Nazca stanno ancora lavorando.

Stuart Ashby

Crediti
AltoMareBlu ringrazia Stuart Ashby per le foto e le notizie del NAZCA e le foto risalenti al momento della sua costruzione ed alla partenza per l’isola di Capri come prima meta di navigazione, consentendoci di aggiornare l’archivio storico di questa splendida unità progettata da Renato “Sonny” Levi

Crediti: Le fotografie da ‘Nazca 1 a ‘Nazca 5 sono state originariamente scattate da Rupert Richardson (che, credo, ha anche scattato le fotografie presenti su AltoMareBlu), le altre tre foto le ho scansionate da  riviste e quindi stampate. Purtroppo il colore si è alterato nel corso degli anni. (le foto pubblicate in questo articolo sono state restaurate da Alessandro Vitale AltoMareBlu.

Nazca di Renato “Sonny” Levi – (English)

At 55 ft LOA, Nazca was the longest vessel to be built at the Elephant Boatyard up to that time. The building-shed was only about 60 ft long, so there was very little room to spare at the bow and stern ! Because of the restricted space, Nazca was built upright, which meant a lot of overhead work when we were planking and fairing the hull.

Hull planking was Brazilian Cedar, 4 skins, cold-moulded with Aerolite urea-formaldehyde two-part glue. Centreline, shaft logs and spray rails were mahogany. Structural floors were laminated spruce. Structural bulkheads, transom and cabin soles were marine plywood. Deck beams were spruce. Decks were teak on plywood.

The keel, chine, stem, sheer and transom joints were all rebated for approximately 6″ to 8″ each side of the joint to a depth of approximately 1/4” to accept a laminate of woven-roving glassfibre mat and WEST epoxy resin. These joints were also laminated inside. The box-section spruce and marine plywood engine bed girders, which extended through the lazarette to the transom, were also laminated in the same way. I still remember spending a lot of hours laminating these areas and grinding them afterwards, particularly in the lazarette below the aft deck !

The interior was fitted out in figured light cherry with a non-gloss finish. Will Hall, a cabinet maker and brother-in-law to Tom Richardson, was brought in especially to make the joinery units and was later joined by John Chalcraft, a highly-skilled yacht joiner, who had been apprenticed at the old Camper and Nicholson’s yard at William St, Northam, Southampton.

The hull, plywood deck and superstructure were all coated in WEST before painting. Hull colour was International Britannia Blue, single-part gloss enamel.

Due to the shallow angle of the propellor shafts, the holes for the stern-tubes were long and were bored out in the traditional way, firstly by a pilot-hole bored with a long bit (2-3m, as I recall) and then with a specially made boring-bar with adjustable cutters. Several cuts were made with this boring-bar, the cutters being re-set to cut a slightly larger diameter with each cut, until the correct diameter hole for the stern-tube had been achieved. Achieving accurate alignment of such a long cut is crucial to the boat’s performance and requires an experienced boatbuilder. The work was entrusted to Harold Aldridge, then in his fifties, who had also been apprenticed at Camper and Nicholson’s.

In these photographs, the exceptional finish of the hull can be seen. This was achieved by accurate fairing-in during the building stage, followed by skilled preparation and painting. As each skin of planking was fitted, it was faired in by hand and eye, firstly by planing and then by sanding with long two-man sanding-boards using coarse-grit abrasive paper. The fairness of each skin is checked by the boatbuilders running their hands over the surface to ensure that irregularities invisible to the eye have been faired-in. When this process is complete, the next skin is fitted. Fairing-in is labour-intensive and painstaking but, if carried out by skilled boatbuilders, it lays the foundation for the ultimate yacht finish.

The final grain-filling, undercoating and glossing requires the same level of skill and care. The Elephant boatyard was fortunate at this time to employ Henry Biggs, a skilled yacht painter in his fifties, who had served his apprenticeship on the Hamble River. He was assisted by Adrian Murrey who later continued painting yachts on the Hamble.

The men who worked on Nazca were Richard Langton, Glen Murrey, Stuart Ashby, Jim Lucey, Will Hall, John Chalcraft, David Heritage, Alastair Garland, Harold Aldridge, Henry Biggs, Steve Cole, Rupert Richardson, John Richardson, Adrian Murrey and Bob Gibson.

Nazca’s owner, Kevin Cooper, presented all the Elephant boatyard staff with a pewter tankard inscribed ‘Nazca 1980’. Mine still sits on my window-cill to this day !

Mr. Levi visited the yard whilst Nazca was under construction and I remember the quality and detail of his building plans. The pictures show the sheer functional elegance of his design.

I left the Elephant Boatyard about 18 months after Nazca but I see that they are still building and restoring wooden boats and several of the men who built Nazca are still working there.

 

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Catamarani da CORSA estratto dal libro “Dhows” to Deltas” di Renato Sonny Levi

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Nel campo dei catamarani veloci Levi ha avuto diverse esperienze. Ne ha progettati per gare in circuito, per gare offshore di classe III e ne ha studiati altri – peraltro non costruiti – sia per le classi OP1 e OP2, sia per il diporto.

Ecco alcune delle realizzazioni concrete.

Catamarani

Dhows to Deltas, il libro di Renato “Sonny” Levi pubblicato in lingua inglese nello scorso autunno, sta avendo un ottimo successo editoriale in tutto il mondo. In Nuova Zelanda come in Australia, in Gran Bretagna come negli USA viene considerato ormai la bibbia degli scafi veloci, sia da circuito che, soprattutto, d’altura.

Il fatto è che in questo libro Levi non ha nascosto nulla delle sue esperienze, delle difficoltà che ha incontrato nella progettazione dei più veloci bolidi, degli errori commessi, dei vantaggi dati da certe sue proposte. Insomma ha detto tutto, nella convinzione che questo possa esser utile a quanti si occupano in qualsiasi modo della nautica agonistica o da diporto.

Mondo Sommerso è lieto di informare i suoi lettori di avere acquistato il diritto di pubblicare una serie di estratti da questo libro scegliendo gli argomenti più interessanti fra quanti sinora non sono stati ancora trattati in Italia dal noto progettista, La traduzione del testo inglese è a cura di Maurizio Adreani e Antonio Soccol.

Questo mese abbiamo scelto l’argomento catamarani. Iniziano anche in Italia le gare offshore di classe III e molti costruttori e piloti sono in dubbio nella scelta fra monoscocche e biscafi. Anche nelle classi superiori (OP1) si sono visti alcuni catamarani: ciò significa che l’argomento è all’ordine del giorno. Ecco dunque alcune esperienze dirette ed alcune considerazioni tecniche di Renato « Sonny » Levi sul problema.

Catamarani: LEVI CAT 18,5

(conforme al regolamento – Fuoribordo da corsa – classi 01, ON, OZ)

Catamarani: LEVI CAT 18,5

Levi Cat 18,5 sezioni ordinate 1 – 2

Ho basato questo progetto non solo sul concetto dei catamarani di Molinari ma anche su quelli di molti altri che sono stati recentemente prodotti, conformi all’attuale regolamento per le categorie 01, ON e OZ. Avevo già progettato catamarani di questo tipo in precedenza ma nessuno era stato costruito.

Dal mio punto di vista i principali problemi da risolvere qui erano:

  1. assetto- corretto, cioè l’angolo ottimo di incidenza nel tunnel per ottenere il richiesto sostentamento dinamico e la conseguente riduzione della superficie bagnata in modo che solamente le estremità posteriori degli scafi toccassero l’acqua in velocità, mantenendo una buona stabilità longitudinale e trasversale
  2. struttura, che doveva essere leggera e nello stesso tempo robusta per sopportare le
    sollecitazioni a cui sono soggetti questi scafi. Molti catamarani hanno subito danni nelle gare,
    da piccole falle al completo disfacimento; ho visto anche dei catamarani spezzarsi in due.

Diversi fattori influenzano la questione dell’assetto: il baricentro, la forma degli scafi a poppa, la linea di spinta. Quest’ultima richiede molta paziente sperimentazione pratica per la correzione degli errori.

L’altezza della piastra anticavitazione del motore fb rispetto al fondo del tunnel ha una notevole importanza per la velocità dello scafo. Naturalmente, più alta è la posizione in cui può essere posta la piastra anticavitazione evitando che l’elica caviti, maggiore sarà la velocità a causa della riduzione della resistenza offerta dal piede.

Alcuni catamarani in velocità hanno un assetto per cui solo una parte del mozzo e metà dell’elica si trovano in acqua, qualcosa di simile a quanto avviene con i tre punti.

Catamarani: LEVI CAT 18,5 Catamarani: LEVI CAT 18,5

Ritengo che in gara la tecnica di guida ed il peso del pilota abbiano un valore determinante per il successo di un catamarano piuttosto che un altro. Ho visto spesso 30 o 40 di questi scafi, con circa le stesse caratteristiche (ed in alcuni casi modelli identici), in gara fra di loro e due o tre che si staccavano lasciando indietro gli altri. Quasi sempre questi scafi vincenti avevano gli stessi piloti.

Catamarani: LEVI CAT 18,5 Catamarani: LEVI CAT 18,5

(Fine prima puntata)

 

Articolo pubblicato sulla rivista nautica “Mondo Sommerso” – luglio 1972 e qui riprodotto da AMB p.g.c. dell’autore.

 

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Catamarani da CORSA dal libro “Dhows to Deltas” di Renato Sonny Levi (ultima puntata)

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FAT CAT

Catamarani da CORSA dal libro “Dhows” to Deltas” di Renato Sonny Levi

Fat Cat

Nel 1966 feci molti progetti di catamarani a motore utilizzando il principio del «ram wing ». Uno di questi fu il Fat Cat di Lady Aitken. Questa barca fu costruita da Len Melly e John Merryfield ed iniziò a gareggiare nella classe III nel 1966.

Come base, la geometria di questa barca era la seguente:

Due scafi simmetrici da 6,10 m molto a V collegati fra di loro da una sezione alare portante. I due scafi erano stati costruiti in lamellare ed avevano i normali pattini longitudinali, in questo caso tre per lato: l’ultimo formava lo spigolo.

La larghezza di questi scafi era tale da potere accogliere una persona entro di essi: così il pilota sedeva in uno e il navigatore nell’altro.

Il regolamento della classe III richiedeva una minima apertura nel cockpit di 61 x 76 cm per ogni persona sotto forma di un solo cockpit della larghezza di 122 cm e della lunghezza di 153 cm oppure due cockpits larghi 61 cm e lunghi 76 cm lo scelsi per ragioni strutturali la soluzione con due cockpit disponendoli nei due scafi onde poter mettere la trave di collegamento ad H di due scafi tra i due cockpits.

Il rapporto spessore/lunghezza del profilo alare di questo ponte era poi determinato dalla regola della minima profondità ammessa, che richiedeva almeno 454 mm in qualsiasi punto della apertura del cockpit. La minima dimensione del cockpit non stava comunque entro gli scafi così dovetti lasciare due cockpits fittizi nel ponte di collegamento degli scafi. Poiché nessuno comunque si sarebbe seduto in questi cockpits, essi furono coperti, co-
me è permesso dal regolamento, rendendo possibile un profilo aerodinamico.

L’idea base del «ram wing » è di ottenere un sostentamento aerodinamico in velocità, riducendo in tal modo la superficie bagnata degli scafi. Nel primo progetto avevo delle fessure alle estremità dell’ala con la speranza di aumentare il sostentamento, e anche un flap sul bordo di uscita dell’ala tra i due scafi per lo stesso motivo. Inoltre speravo con questo flap di poter controllare l’assetto aerodinamicamente. Ambedue queste raffinatezze vennero successivamente eliminate poiché non si dimostrarono di reale utilità (forse lavelocità era troppo bassa) e in effetti erano solo una complicazione in più.

Penso di avere posto troppa importanza alla robustezza della struttura con un conseguente aumento di peso. Uno dei problemi con questi pluriscafi è quello di ottenere un collegamento robusto tra le due scocche e probabilmente ho esagerato in questo rispetto. Maggiore è il diedro in uno scafo più esso è morbido su acque mosse. Infatti mi è stato detto che “Fat Cat” era uno dei migliori scafi della classe III su acque agitate.

Lady Aitken, uno dei piloti femminili più qualificati nelle gare offshore, ha gareggiato anche in varie corse della classe, II adottando 3 motori: il terzo motore era montato al centro del bordo di uscita dell’ala/ponte di collegamento.

RAM WING 21

Catamarani da CORSA dal libro “Dhows” to Deltas” di Renato Sonny Levi

Questo progetto deriva da quello del Fat Cat con diverse modifiche.

Nel 1967 ci fu un cambiamento nel regolamento della classe III relativo alle aperture del cockpit. Vennero ammessi quattro cockpit separati: questo consentiva il loro collocamento negli scafi e la adozione di un profilo alare più sottile.

Utilizzai un profilo USA 3S-B modificato, con uno spessore pari al 12% ed appiattii la parte inferiore del 15% dalla corda fino al bordo d’uscita. La sezione più sottile e gli scafi più bassi consentirono una considerevole diminuzione della sezione frontale e di conseguenza una minor resistenza aerodinamica.

Diversi giudizi piuttosto dogmatici sono stati espressi sul problema della posizione in cui dovrebbe trovarsi il centro di pressione (C.P.) in queste imbarcazioni rispetto al baricentro (C.G.). Non molto tempo fa ho letto un rapporto preparato da un gruppo di esperti che avevano effettuato alcune prove su un «ram wing» da me progettato. Si diceva che il progetto non poteva funzionare perché il C.P. si trovava a poppa del C.G.: questo dovrebbe significare implicitamente che uno scafo di questo genere può andar bene solo se il <centro di pressione> si trova davanti (più a prua) del baricentro.

Posso solo pensare che questa conclusione sia stata raggiunta seguendo la teoria aeronautica: ma gli aeroplani possono (e lo fanno, infatti) volare con il centro di pressione più indietro del baricentro. lo stesso ho progettato un aeroplano, il Moonson, basato su questo principio. Si deve ammettere una stretta analogia tra i “ram wings” e gli aeroplani quando si arriva a parlare del problema dell’equilibrio.

Per tale motivo bisogna tener conto anche di altre due forze: la spinta (T) e la resistenza aerodinamica ed idrodinamica (D). La resistenza idrodinamica provoca l’abbassamento della prua. Senza entrare nei dettagli si può comunque affermare che la miglior posizione per il centro di pressione (C:P.) dipende dalla grandezza e dalla posizione delle forze coinvolte.

Con uno scafo di questo tipo, ‘relativamente’ lento si possono, per esempio, ottenere velocità più elevate con un C.P. spostato molto a prua in modo da ottenere un sollevamento di questa e quindi una riduzione della superficie bagnata. La stessa posizione del C.P. in una barca veloce, invece, può provocare un eccessivo sollevamento della prua con conseguente pericolo di rovesciamento (di mettersi la barca in testa, insomma).

Nel caso particolare di questo «ram wing ho spostato l’ala ancora più a poppa rispetto agli scafi in modo di avere il C.P. più vicino al baricentro. Il diedro è stato ridotto di circa la metà rispetto al Fat Cat di Lady Violet: questo comporta un aumento di velocità ma anche una navigazione più dura. Lungo gli scafi ho ricavato dei gradini (tipo redan): ho introdotto questa modifica per diverse ragioni.

Primo, per cercare di ridurre la superficie bagnata, secondo (e forse ancor più importante) per ridurre il beccheggio, dato che così si ottengono quattro superfici di contatto con l’acqua invece che due. La riduzione del movimento di beccheggio è particolarmente desiderabile in un «ram wing » dato che l’ala può operare più efficacemente quando le variazioni rispetto all’angolo di Incidenza optimum sono minime. Una accurata regolazione dell’angolo di incidenza migliore e del miglior assetto della barca si può ottenere per mezzo di flaps disposti sul bordo d’uscita del gradino e/o sullo specchio di poppa.

Infine la costruzione di questo “ram wing” è stata notevolmente semplificata in modo di avere strutture più leggere e più economiche.

 

Articolo pubblicato sulla rivista nautica “Mondo Sommerso” – luglio 1972 e riprodotto da AMB p.g.c. dell’autore.

 

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A2VA2V consegna il crewboat A2V-25-CB a Peshaud International

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Un caldissimo pomeriggio del mese di luglio del 2015 ho ricevuto una mail da parte di Gianluca Guelfi, una persona con la quale non avevo ancora avuto contatti. Nel leggere la sua mail di presentazione, si complimentava con me e tutto lo staff di AltomareBlu, in quanto trovava il nostro sito veramente interessante, definendolo testualmente: una “perla rara” nel web.

Advanced Aerodynamic Vessels – Crewboat A2V 25 CB

Advanced Aerodynamic Vessels

A2V Advanced Aerodynamic Vessels

Il testo integrale della mail:

Ho letto con passione tutti i vostri articoli e contengono una incredibile memoria storica per tutta una nuova generazione di progettisti, a cui appartengo. Solo guardando indietro questa bellissima storia fatta di barche veramente riuscite, cantieri sani, progettisti innovatori e tanta ricerca dai motori ai propulsori, mi fa riempire di motivazione e amare il mio lavoro.

Leggendo gli articoli di Levi e di Harrauer ho visto il panorama desolato che esiste oggi, fatto di yacht demisurati, scafi mal riusciti e progettisti mediocri. Adoro gli articoli di Antonio Soccol per la loro schiettezza e la sua perfetta visione critica ma vera, di questo triste scenario attuale fatto di brutte barche, lobby universitarie, cantieri loschi… che tutti gli altri mi sarebbe piaciuto incontrarlo un giorno, mi dispiace molto che se ne sia andato.

Non mi sono presentato, sono Guelfi Gianluca un giovane ingegnere nautico e lavoro in Francia dove ho fondato due anni fa insieme ad altri una giovane società di ricerca nel campo della nautica. Qui il Francia, costa ovest, sono venuto per lavorare nella ricerca “aeroidrodinamica” di barche a vela nello studio di Marc Lombard a La Rochelle.

Advanced Aerodynamic VesselsQui ho conosciuto delle persone che mi hanno insegnato tanto, dei giovani appassionati che amano quello che fanno, ho respirato l’ambiente “Mini transat” fatto di barche di 6.5m super tecnologiche costruite spesso in garage.

Qui tutti si conoscono e idee fantastiche nascono nei bar tra navigatori e progettisti. Poco cambia se in Altomareblu si parla di barche a motore, è questo ambiente ricco di passione, ricerca, esperimenti e innovazione che amo e che ho sempre cercato e che esisteva ancora una trentina di anni fa per la motonautica.

Ci siamo trovati trovati cosi con quelli che oggi sono i miei colleghi, intorno a questa voglia di ritrovare un ambiente dove la bellezza della nautica di sposta a quella della ricerca scientifica. Insieme abbiamo trovato il modo di lavorare su un nuovo progetto di barche a motore da lavoro, che sfrutta l’efficienza dell’aerodinamica per migliorare le performance energetiche di queste barche.

Ci ha sorpreso e incoraggiato vedere che parte di questa idea era stata già esplorata e discussa da progettisti del calibro di Levi e Harrauer, verso la fine della loro carriera, quando pensavano alle barche del futuro.

L’idea di per se esiste da molto tempo data la sua semplicità, i WIGo i SES per esempio, ma come dice l’arch Franco Harrauer, i progetti sono sempre stati frenati a causa delle troppo grandi ambiziosi in termini di velocità per esempio, quindi con forti limiti in termini di sofisticatezza della propulsione/sicurezza etc.

Il nostro obiettivo e la nostra idea è stata quella di riprenderla rendendola semplice e sicura. Abbiamo lavorato per sviluppare una forza aerodinamica alta fin dalle basse velocità, in modo da limitare la velocità alla quale questa diventa significativa e la utilizziamo non per andare più veloci in assoluto ma poter ridurre a parità di carico utile il consumo di carburante.

L’altra linea di ricerca è stata quella della stabilità dinamica per creare un concetto sempre sicuro. Studiando la dinamica abbiamo anche analizzato le capacità dell’aerodinamica di smorzare i moti e migliorare la tenuta al mare.

Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels

Dopo un anno e mezzo di ricerca, principalmente numerica, abbiamo messo in acqua il nostro prototipo di misura che naviga qui a La Rochelle da circa 3 mesi. Il prototipo ha confermato quasi tutti i nostri risultati e dalla prima uscita ci ha dato veramente  delle belle sensazioni a bordo. Se possibile mi piacerebbe che inoltrasse questa mail all’arch. Harrauer ed all’ing. Levi.

Mi piacerebbe poter mostrare il progetto a loro che probabilmente hanno già immaginato questa barca. Colgo l’occasione per invitarvi a bordo del prototipo per venire a provarlo di persona qui a La Rochelle, mostrarvi le nostre ricerche e i nostri progetti per il futuro.

Dopo aver risposto all’ing. Gianluca Guelfi, complimentandomi per l’idea che ho subito definito come interessante e validissima, ho inoltrato all’arch. Franco Harrauer questa mail con tutto il suo contenuto chiedendogli di esprimere una sua opinione in merito a questo interessantissimo studio, cosi come era desiderio dell.ing. Guelfi.

Di li a pochi giorni la risposta di Franco Harrauer che di seguito si può leggere:

Carissimo Gianluca,

ho ricevuto tramite la cortesia dell’amico Giacomo di AMB, le foto del tuo CORAGGIOSO catamarano sperimentale. Complimenti per il tuo lavoro,  ma nelle foto non si possono vedere elementi necessari per un giudizio. Tuttavia, ritengo comunque molto interessante quello che hai realizzato.

Il piacevole DESIGN presuppone anche uno studio aerodinamico del tunnel e un impegno strutturale nello studio idrodinamico con i due Mercury a tutta potenza da un valore critico che deve essere superato con un ulteriore studio dell’idrodinamica ed incremento della propulsione.

Levi ed il sottoscritto (vecchi piloti) crediamo fermamente nel valore della ricerca e della sperimentazione.

Attualmente lavoro in Brasile per la progettazione di catamarani da lavoro per la Petrobras con propulsione ad eliche semisommerse.

Squid Bone Harrauer
Lo Squid Bone è un trimarano monomotore (1.700 KW) con eliche di superficie e velocità di crociera di 60 Nodi. Questo progetto deriva dai pattugliatori destinati ad un noto paese del Sudamerica. Un progetto in “stand by”, insieme al grande WIG.

Come puoi vedere la nautica non è in crisi, ma sono i cervelli in letargo! CORAGGIO…
Franco Harrauer

Questa la risposta incoraggiante di Franco Harrauer che incitava l’ing. Gianluca Guelfi a continuare nella sperimentazione e realizzazione poi del progetto divenuto esecutivo.

Sono passati oltre due anni da questo ultimo contatto con l’ing. Guelfi e qualche giorno fa ho ricevuto la sua ultima mail in cui mi ha comunicato la consegna della A2V del crewboat A2V-25-CB al committente Peshaud International. In effetti è la realizzazione conseguente al prototipo realizzato alla Rochelle. In questi giorni A2V consegna la sua prima barca commerciale crewboat basata sul sostentamento aerodinamico.

Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels

“Clementine” é il primo esemplare della A2V-25-CB Advanced Aerodynamic Vessels prodotto, un imbarcazione crewboat per il trasporto tecnici disegnata e costruita in Francia per l’armatore Peschaud International, che la metterà in servizio in Gabon. L’imbarcazione ha completato con successo tutti i test a mare ottenendo la classe Bureau Veritas e la validazione della bandiera Francese.

Un importante conferma per l’applicazione della tecnologia A2V di sostentamento aerodinamico applicato alle barche da lavoro.

Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels
Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels
Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels Advanced Aerodynamic Vessels

Clementine raggiunge una velocità di servizio di 40 nodi con solo due motori Scania da 600 CV ciascuno. Veramente interessante il valore del consumo sul miglio percorso che risulta essere più che dimezzato rispetto ad altre  imbarcazioni concorrenti.

Questo risultato consente grandi economie nel consumo di carburante per gli armatori; nello specifico si risparmiano circa 500 000 litri di gasolio in un anno per ogni imbarcazione.

I consumi ridotti notevolmente ed i tempi di trasferimento ridotti, con il confort da business class collocano la A2V in una posizione privilegiata con uno nuovo standard interessante per il trasporto marittimo dei passeggeri.

In contemporanea alle costruzioni in corso, la A2V sta sviluppando nuovi progetti basati sullo stesso concetto. Pertanto continua il lavoro di ricerca e sviluppo sia tramite simulazioni numeriche che attraverso il prototipo in scala reale. Dopo circa tre anni e più di 4000 miglia di navigazione percorse, il concetto di questa unità è risultato essere validissimo in molteplici condizioni meteo marine, raggiungendo la velocità di 60 nodi.

Congratulazioni a tutto lo staff tecnico giovane e coraggioso di questa nuova realtà che sta prendendo il largo ed auguriamo un meritato successo, senza dimenticare quello che i nostri “Autorevoli Maestri – Renato Sonny Levi e Franco Harrauer” ci  hanno insegnato: effettuare tanta sperimentazione e test di collaudo severissimi in cui sperimentare ogni particolare ed ogni nuova soluzione, fino a quando si raggiungono risultati certi.

E’ da qui che si parte per arrivare al successo di un’idea!

AltoMareBlu

 

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La lunghezza dei pattini nelle carene a V profonda

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di Antonio Soccol

Qualche tempo fa Ivan, un nostro storico & affezionato lettore, ci aveva scritto ponendoci queste domande:

  • Quanti pattini servono realmente su una carena seria e performante, visto che ogni costruttore ne mette più o meno quanti ne vuole?
  • Quanto incide il buon posizionamento dei pattini su di una carena?
  • La forma di un pattino come deve essere?
  • Inoltre perché ultimamente la tendenza di fare terminare i pattini a poco più di mezza barca, mentre nelle carene Levi arrivano tutti a poppa…
  • Qual è il vantaggio – svantaggio di fare finire i pattini prima dello specchio di poppa?”

Barca Sapri Vega Levi

Data l’importanza dell’argomento sul quale da anni si rincorrono sciocche credenze, avevo chiesto al comitato di redazione di AltoMareBlu di lasciare a me la risposta. Ma, (c’è sempre un ma nelle storie, vero?) sono poi successe quasi contemporaneamente due cose:

  1. proprio in quei giorni una rivista specializzata ha pubblicato un articolo in merito a questo tema, articolo dove un noto progettista nautico che stimo e apprezzo sosteneva tesi quanto meno confutabili;
  2. la mia salute ha subito un paio di KO davvero molto faticosi da incassare e questo spiega in parte il mio forzato silenzio del quale chiedo scusa all’interessato Ivan.

Cosa  aveva scritto nel suo articolo il progettista che stimo? Queste testuali parole:

Importante è che i pattini non si estendano troppo oltre la linea di ristagno (cioè la linea costituita dal congiungimento di tutti i punti di ristagno per ogni sezione longitudinale della carena)”. In brutale sintesi sembrava quasi un invito a tagliare i pattini a metà carena.

Va subito detto che se Ivan avesse voluto risposta immediata avrebbe potuto trovarla proprio su AltoMareBlu  a (La progettazione degli scafi plananti di Renato “Sonny” Levi), dove Renato “Sonny” Levi scrive testualmente (e se lo dice lui che è uno degli inventori delle carene a V, è voce autorizzata):

Questi pattini aumentano la stabilità dinamica sia direzionale che trasversale.

  • Il primo caso è dovuto ad un aumento di pressione sulle parti verticali esposte alla spinta dell’acqua.
  • Il secondo caso è dovuto ad un incremento di incidenza e di superficie della parte più immersa.

Un concetto diffuso e sbagliato sostiene che i pattini sono utili solo nella parte prodiera e che creano solo attrito a poppa. Questo non è esatto. Questa conclusione è probabilmente basata sull’esistenza di carene che navigano troppo piatte con pattini lungo tutto il fondo. In questi casi, togliendo una parte dei pattini a poppa, si riduceva il sostentamento e si aumentava la velocità.

Si poteva ottenere molto probabilmente lo stesso risultato, se non maggiore, lasciando lavorare i pattini lungo tutta la carena, ma spostando il baricentro della barca più a poppa. Un progetto riuscito per uno scafo da mare aperto è quello che consente di navigare in modo efficiente entro tutta la gamma di velocità richieste.  Dovrebbe essere in grado di mantenere alte velocità in acque mosse con il massimo comfort. Per una determinata misura di scafo il grado di comfort dipende dalla velocità: più questa è elevata, più è elevato il movimento.

Aumentando il diedro nella zona di impatto, si migliora questa situazione con la penalità di un incremento di attrito alle basse velocità. Il punto focale nella zona di alto impatto si muove progressivamente verso poppa, mano a mano che la velocità aumenta fino al raggiungimento delle velocità molto elevate, V /Rad L > 8 sarà proprio all’estrema poppa. Questo indica che il diedro in un progetto deve essere variato secondo la velocità.

carena triciclo rovescio SHOT

Alla luce della complessità della faccenda ho deciso di chiedere l’opinione ad una serie di altri progettisti nautici. E alcune inconfutabili realtà sono venute a galla. Un grande esperto mi ha per esempio spiegato che:

I pattini che si estendono verso poppa oltre la linea di ristagno aumentano la resistenza?

In questo caso l’autore dell’articolo riporta ciò che c’è scritto sul libro di Costaguta (Fondamenti di Idronautica), un bellissimo libro, ma un po’ vecchiotto (1980). Nel libro, Costaguta riportava le teorie di Eugenie Clement che erano ancor più vecchie (1960-64). Tali teorie si basavano sui pochi dati allora a disposizione, tutti elaborati dalle prime serie sistematiche di scafi plananti che avevano caratteristiche geometriche ben definite (angolo di rialzamento del fondo molto contenuto intorno ai 10°).

Premesso questo perché  ho detto che ciò è vero ma solo in parte?

Per dare una risposta bisogna prima  capire gli effetti positivi e negativi che possono avere i pattini ed alla fine fare il solito bilancio.

Vantaggi:

Pattini di Carena per prima cosa i pattini riducono la superficie bagnata, e ciò avviene proprio nella zona della linea di ristagno (c’è una bella figura nel libro di Sonny Levi che chiarisce perfettamente il concetto). Quindi  se ci limitiamo a valutare quest’effetto è chiaro che non ha senso far proseguire i pattini verso poppa. Ma i pattini possono anche far aumentare la portanza a poppa (la barca esce un po’ di più dall’acqua e la resistenza diminuisce) raddrizzando il flusso che tende a sfuggire lateralmente, fenomeno questo che aumenta all’aumentare dell’angolo del fondo. Infine aumentano la stabilità direzionale e trasversale.

Svantaggi:

quando invece ci sono  trappi pattini o pattini troppo grandi, si hanno dei problemi fondamentalmente dinamici: la barca diventa dura e governa male perché tende a rimanere piantata sulle pareti laterali dei pattini. Si verifica anche un aumento di resistenza perché all’aumentare delle dimensioni/numero il  disturbo idrodinamico prodotto è maggiore del beneficio prodotto dalla maggiore portanza.

exocetus volans in planata

Conclusioni:

Ai soli fini della resistenza, proseguire i pattini a poppa ha senso quando la velocità è sufficientemente alta da avere la generazione di una significativa portanza, portanza che la presenza dei pattini aumenta, altrimenti il disturbo idrodinamico prodotto è maggiore del beneficio. Quindi i pattini   a poppa su un motoscafone semidislocante non hanno senso.

Inoltre i pattini a poppa lavorano di più all’aumentare dell’angolo di fondo. Con angoli elevati l’effetto come raddrizzatori di flusso è maggiore, e di conseguenza sarà maggiore la portanza sviluppata. Per piccoli angoli di fondo invece l’effetto raddrizzante è minimo perché il flusso è già abbastanza dritto per conto suo e, di conseguenza,  il disturbo idrodinamico prodotto sarà maggiore del beneficio. Tra l’altro questa era la situazione che aveva a disposizione all’epoca Clement dalla quale aveva dedotto le sue teorie.

Infine, dato che i pattini generano un aumento di portanza, che a sua volta genera il cambiamento delle condizioni di equilibrio della carena (trim), è necessario, prolungando i pattini a poppa, arretrare il baricentro della barca (centro di gravità) per avere sempre l’assetto ottimale (viceversa se elimino i pattini a poppa) . In pratica bisogna ribilanciare, ottimizzandola,  la barca con e senza pattini. E questo è un altro elemento che Clement trascurò a suo tempo, perché fece le prove con e senza pattini nelle stesse condizioni.

Insomma, quasi sessanta anni di confusione e di stupide polemiche, nascono da una sperimentazione bufalo/tarocca fatta da questo Eugenie Clement.

Naturalmente stiamo parlando di barche con trasmissioni classiche: gruppi efb, eliche immerse, eliche di superficie. Perché se entriamo nel settore delle trasmissioni a idrogetto alcuni valori possono cambiare. “In questi casi – mi dice l’amico progettista Sergio Abrami – io preferisco troncare i pattini all’incirca alla 6° ordinata di calcolo per non disturbare l’entrata dell’acqua nel jet”.

Surfury - Sonny Renato Levi

Conclusioni finali:

I pattini possono arrivare tranquillamente sino a poppa, basta saper dar loro l’incidenza corretta e conoscere esattamente dove sia il centro di gravità dello scafo. Impresa facile per chi sa progettare. In caso contrario esiste sempre la risposta che diede Renato “Sonny” Levi ad un folto gruppo di tecnici che gli chiedevano se sapesse dove si trovava appunto il Centro di Gravità di un suo importante progetto: “Beh, – disse il grande Levi con aria irridente – possiamo sempre mandar dentro alla barca un cane da tartufo e vedere se lo trova!”

Questo aneddoto storico serve per chiudere in allegria sessanta anni di stupidaggini create anche con malizia da parte dei molti “denigratori di professione” di cui siamo maledettamente ricchi. Gente che parla male degli altri per mettersi in evidenza e che poi spara solo balle a gogò. Certo, toccare i pattini significa saper progettare una carena e quindi una barca, cosa ormai piuttosto rara.

Caro Ivan, spero di esser stato esaustivo e aver così risposto alla tua domanda e grazie per avermi concesso di far finalmente luce su un misterioso dettaglio così importante.

Altomareblu – Tutti i diritti riservati. Note Legali

 

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New Corsair Classic by Levi Boat Company

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A fine Gennaio del 2010 ho ricevuto una mail che attendevo da qualche tempo.

Era in costruzione una nuova barca Levi, di più non mi era dato sapere ma sia la fonte che la persona che mi avevano passato questa indiscrezione, godevano di tutta la mia stima per sapere che una nuova pagina Levi stava per essere scritta e infatti… il sogno si è avverato.

Sono stato invitato presso i cantieri della Levi Boats Company a Venezia e a Febbraio 2010, ho potuto conoscere Antonello Villa e Martin Levi che su progetto di Renato “Sonny” Levi, hanno modernizzato il Corsair del 1999.

Al primo impatto visivo impressionano le accurate rifiniture, non certo usuali per unità di queste dimensioni. A dire il vero e forse per assurdo, fuori dall’acqua è anche meglio perché, l’opera viva di questa fantastica carena si fa ammirare, è un concentrato di studio, tradizione, sicurezza e di storia e le fotografie parlano da sole. L’angolo al diedro di poppa è di 23° e potete immaginare l’emozione quando ho visto K… il mio cuore ha subito ricordato la storia di questa carena che si ricollega al famosissimo Settimo Velo e alla progenitrice ‘A Speranziella.

 

Il colore l’ho trovato elegantissimo e il pattino in legno è veramente una sfumatura d’eleganza. Ma è l’insieme che rende questo oggetto, un culto per i veri appassionati di mare e di barche costruite con un certo criterio di tecnica, eleganza, armonia e con la cura del particolare, come può essere il logo (il famosissimo Ippocampo con l’ombrellino) ricamato dietro i sediolini o al semplice  portachiavi personalizzato con il logo Levi di cui, mi è stato fatto gentilissimo dono e che conservo con cura e estrema gelosia.

Il ponte è tutto in doghe di teack come il passo d’uomo, differente e molto più bello del precedente e primo prototipo Corsair che era in materiale meno nobile.

Non è sempre facile immaginare di vedere una carena Levi riproposta in chiave moderna, ma indubbiamente è certo aspettarsi che i tempi, la tecnologia, i materiali più leggeri, le nuove motorizzazioni, possano ancora dire e fare moltissimo su progetti di carene dalla indiscutibile e comprovata tenuta in mare. Come per il passato, questa nuova creatura Levi, ha avuto il vantaggio di essere stata costruita con quanto di tecnologicamente più evoluto è disponibile attualmente sul mercato. Forse anche troppo ma la customizzazione è anche una scelta del fortunato ed esigente cliente che… sa benissimo di avere una barca unica, spettacolare e autentico gioiello del mare.

La cura degli interni è quasi maniacale, l’armonia delle forme e degli spigoli arrotondati e la finitura dei materiali, la pone al vertice della gamma, tra una barca da diporto e un mini yacht di lusso, con una carena che fa indiscutibilmente la differenza, non temendo confronti e paragoni anche con imbarcazioni più grandi e di rinomata fama. Sicuramente le doti marinaresche di questa tipologia di carena, la tenuta in mare e il piacere di guida che offre, evidenziano una barca che si farà notare tra le onde del mare, mentre tante altre unità, sono costrette, con mare formato, a rifugiarsi nel più vicino sorgitore.

Già… queste sono le prime indicazioni di chi ha avuto la fortuna di provarla in tutti questi mesi, con differenti condizioni di mare, certi che una carena Levi non teme il mare formato, anzi, è in queste condizioni estreme che da il meglio di se stessa invece di vederla navigare su mari calmi o piatti. Questo la dice lunga sul periodo di immobilità progettistica che sta vivendo la nautica contemporanea poiché, contrariamente, vede i costruttori limitare la performance  delle loro imbarcazioni solo con mare “leggermente mosso”.

Peccato non aver visto questa barca al 50° Salone Internazionale di Genova, non mi sarebbe dispiaciuto vederla ancora.

Dati Tecnici di Corsair Levi Classic 2010:

Modello Corsair
Lunghezza f.t. m 9.10
Lunghezza scafo m 8.25
Lunghezza galleggiamento m 7.25
Larghezza massima m 2.75
Dislocamento pieno carico Kg 6250
Immersione m 0.80
Serbatoio carburante L.540
Serbatoio acqua L. 200
Potenza installabile da 340 a 630 hp
Velocità massima 50 Nodi
Posti letto 4
Persone trasportabili 8
Categoria CE B

I motori sono 2 YANMAR 6BY2 da 260 Hp accoppiati a piedi YANMAR ZT350.

Eliche standard Mercruiser in acciaio con passo da 24″ e dislocamento medio (dotazioni complete, 2 persone, pieno ai serbatoi acqua, 1/3 serbatoio gasolio) abbiamo registrato una velocità GPS ponderata (media rilevazione nelle 2 direzioni opposte) di 45 nodi in condizioni di mare calmo e vento quasi assente.

MArtin Levi e Alessandro Vitale di AltoMareBlu Martin Levi e Antonello Villa

Nelle immagini: a sinistra Martin Levi e il sottoscritto seduti sulla tuga di Corsair, a destra, Martin e Antonello Villa che hanno dato vita a questa nuova realtà della nautica firmata Levi Boats e “Sonny” Levi.

"Sonny" e Martin Levi su Corsair Classic

Una “chicca” per i lettori di AltoMareBlu: “Sonny” e Martin Levi su Corsair Classic.

A voi le valutazioni, io ho atteso quasi un anno per poter scrivere questo articolo, poter parlare di questo gioiello, spero di aver fatto cosa gradita a tutti gli estimatori e gli appassionati della buona nautica, non c’è da dimenticare che il Corsair è un prodotto italiano, costruita interamente a Venezia dal Cantiere Nautico Portegrandi (www.portegrandi.com) del maestro d’ascia Gilberto Crosera e le sue maestranze dove l’ho potuta “conoscere”…

Levi Boat Company
via Mestrina 64/B
30172 Venezia Mestre
Tel/Fax +39 0421 332640
Sito web: www.leviboats.com

 

 

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Il restauro di Budda Special – (III puntata)

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di Giacomo Vitale

Il 15 settembe del 2009 demmo notizia su AltoMareBlu di “Budda Special“, un offshore progettato e costruito dal genialissimo Salvatore Gagliotta e rimasto per 43 anni a dormire, prima in un capannone e poi per un periodo di circa due anni alle intemperie, prima di essere acquistato dal nostro amico Marcello, che annunciava l’inizio dei lavori di restauro di questo mitico offshore…

Budda Special di S.Gagliotta

Alcuni cenni storici sul “Cantiere Gagliotta”

Nacque a Napoli nel 1950 per la genialità del suo ideatore Salvatore Gagliotta, appassionato di motori e di nautica, non ancora trentenne. Insieme ad alcuni giovani appassionati, che negli anni a seguire divennero dei personaggi noti in progettazioni e costruzioni aeronautiche italiane, Salvatore Gagliotta aprì un cantiere nelle grotte di tufo di “Mergellina” a Napoli, dove nacquero le sue prime imbarcazioni veloci, oltre ad alcuni apparecchi ultraleggeri per il volo.

Budda SpecialLa genialità di “Salvatore” gli permise di progettare e costruire alcune carene a V profondo, caratteristica fondamentale di tutte le sue creazioni realizzate negli anni successivi, facendo presa sui giovani della Napoli più ricca che, oltre a chiedere barche performanti nelle prestazioni, le volevano anche comode ed eleganti.

Nelle numerose interviste rilasciate da Salvatore Gagliotta a Luciano De Crescenzo, diceva che quando era giovane i naviganti a Napoli si dividevano in due partiti:

  • I Gagliottisti, gente dura e sportiva che correva con i suoi bolidi efficientissimi e spartani
  • Gli “Aquaramisti”, quelli che cercavano di navigare con gli Aquarama di Riva, riconosciuti come sofisticati oggetti di ebanistica, ma che secondo il geniale Salvatore e non solo, non avevano nulla di marino.

E’ risaputo che le imbarcazioni prodotte da Salvatore Gagliotta erano scelte ed apprezzate da veri intenditori, poiché puntavano su efficienza e prestazioni di tali unità e non sulle inutili apparenze. Dopo i primi anni di attività pionieristica ed amatoriale il cantiere, senza tradire i principi costruttivi detti, passò ad una produzione semi industriale ed i brillanti risultati agonistici conseguiti negli anni ’60 – ’70 furono determinati per il successo della produzione delle sue barche.

Nel n° 80 di ottobre 1968 di Nautica, Carlo Marincovich scriveva:

L’unico tra gli italiani che ha dimostrato di valere molto in campo internazionale è il napoletano Salvatore Gagliotta, che con il suo cabinato Budda Blitz è sempre stato alle spalle di potentissimi bolidi, superando di gran lunga in prestazioni altri cabinati delle stesse dimensioni e costruiti da grandi complessi cantieristici.

Sempre in quel periodo, famosa fu l’affermazione di Don Aronow, mitico produttore dei famosi Cigarette americani secondo cui:

Le uniche carene in Europa degne di essere copiate sono quelle di Gagliotta.

budda blitz

Dopo questa breve e simpatica parentesi storica ho evidenziato che il “Budda Special” salvato è lo scafo gemello del “Budda Blitz”. di cui le immagini successive che indicano la progressione dei lavori di restauro messi in essere dal suo “salvatore ed armatore” Marcello!

Viareggio Bastia Viareggio

Budda Special alla Viareggio Bastia Viareggio del 1968, prima di ritirarsi per un urto contro un corpo gallegiante, costringendo i piloti a spiaggiarla per evitarne l’affondamento dovuto ad una falla apertasi verso poppa nella carena.

Inizio lavori restauro – ottobre 2010:

Le prime fasi di lavorazione sono state dure perché si è provveduto a smontare tutte quelle parti interne dello scafo che dovevano essere rimosse. Inoltre è stato eseguito un notevole lavoro di lavaggio e sgrassatura della carena, sia in sentina che in opera viva. Questo per fare in modo che il trattamento epossidico successivo desse il massimo risultato possibile.

Sono state sostituite tutte le parti in legno sfibrate ed inservibili, come si evince dalle foto di seguito pubblicate ed alle quali non seve aggiungere altro! Assoluamente un lavoro impegnativo e scrupoloso, che evidenzia gli ottimi risultati raggiunti.

fasi-lavorazione-scafo fasi-lavoro-fondo-scavo rinforzo-fondo-vano-motori rinforzo-carena-fondo-vano-motori

restauro Budda Special vista-totale-ponte

Anno 2011 mese di luglio:

Terminate le fasi di ricostruzione delle parti danneggiate, si è proceduto al posizionamento e fissaggio delle stesse con ulteriore levigatura di tutto lo scafo, dal ponte all’opera morta ed alla carena. La fase a seguire è stata la laminazione di tutto lo scafo con resina epossidica, operazione eseguita nel periodo caldo, luglio 2011, in modo che la resina, con temperature comprese tra i 20°- 30° Centigradi, diviene molto fluida, permettendo al legno lavato e ben asciutto, con umidità relativa inferiore al 12%, rilevata con apposito strumento Skinder, di assorbirla bene in profondità, applicando un paio di mani in successione, appena la prima diventa attaccaticcia.

Questa operazione abbrevia molto le fasi di laminazione, poiché non è necessaria la carteggiatura tra una mano ed un’altra, con tempi di lavorazione e fatica che si accorciano. Ottimo il risultato come si può vedere dalle foto di seguito pubblicate.

budda-special-trattamento-epossidico budda-special-trattamento-epossidico-scafo budda-special-scafo-trattamento-epossidico budda-special-restauro

Anno 2011 mese di ottobre:

Dopo la laminazione e le conseguenti mani di fondo passate sull’intera carena in più tempi, finalmente si giunge alla fase definitiva della pitturazione che, come si può evincere dalle foto, è molto bella e mette in evidenza la cura con la quale si è portato avanti questo meticoloso lavoro di ripristino dell’ eccezionale offshore…

pitturazione-carena-opera-morta budda-special-pitturazione carena

Nelle successive foto si vede “Budda Special” posto su di un carello stradale, mentre viene trasferito  al centro commerciale “Le Fate” – Località Ardensa – Livorno, dove l’artista pittore Daniele Consani ha organizzato una “mostra storica” di auto, motociclette e quadri di autori Livornesi che è aperta al pubblico dal 3 dicembre 2011 al 15 gennaio 2012.

Bella la scelta dei colori del tutto uguali a quelli originali con i quali questo offshore correva.

budda-special-vista-specchio-poppa budda-special budda-special-gagliotta restauro ultimato consegna

budda-special-olio-tela 70x100 altomareblu-viareggio-bastia-viareggio mostra-d'epoca mostra d'epoca

Le nostre più vive congratulazioni a Marcello che ha dimostrato con il suo grande atto d’amore di essere un vero appasionato di barche d’epoca, impegnandosi nel recupero totale di un offshore di tutto rispetto, progettato da uno straordinario Salvatore Gagliotta che oggi non è più. Chi l’ha conosciuto, non potrà mai dimenticarlo per genialità, semplicità e per quello sguardo molto profondo e vivo, caratteristico degli sciuscià napoletani!

Nella prossima puntata documenteremo i lavori di montaggio dei motori, impianto elettrico, strumentazione ed i relativi stern-drive, mostrando anche un filmato dell’offshore in navigazione…

“Budda Special” è ritornata a vivere e la sua storia continua…

 

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Mini Drago Arrow a Rimini

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Tra le barche progettate da Renato “Sonny” Levi un modello decisamente corsaiolo è il Mini Drago, costruito dai Cantieri Italcraft di Gaeta nell’apposita sezione di Bracciano che era dedicata alle barche in legno e dalla quale nacquero i modelli Sarima, Drago e Mini Drago, tra questi, un modello denominato Arrow.

Mini-Drago-Arrow Mini-Drago-Arrow-1

DATI DI TARGA

  • Lunghezza f.t.: 8,50 m
  • Larghezza max.: 2,00 m
  • Angolo di diedro allo specchio di poppa: 25°
  • motori e potenza max. nominale: Aifo 2 x 135 CV a 3200 g/min
  • Potenza totale agli assi: 2 x 128 CV = 256 CV
  • Numero cilindri: 6
  • Ciclo: 4 tempi diesel
  • Trasmissione: step drive
  • Eliche: supercavitanti e controrotanti

Mini-Drago-posto-comando Mini-Drago-posto-comando-1

Lavori eseguiti nell’ottobre 2009:

Rimessaggio, in cantiere, con motori sbarcati e portati in officina per l’esecuzione delle seguenti operazioni:

  • Smontaggio e revisione di n.2 alternatori e sostituzione di cinghie trapezoidali in gomma.
  • Smontaggio e revisione di n.2 motorini di avviamento (pignoni nuovi).
  • Sostituzione di due pompe Jabsco (nuove) per circolazione acqua complete di giranti in gomma.
  • Revisione completa scambiatori acqua dolce. Smontaggio e montaggio.
  • Sostituzione di manicotti in gomma per circolazione acqua.
  • Sostituzione delle cinghie trapezoidali dei motori per circuito acqua e raffreddamento.
  • Smontaggio invertitori e parastrappi, cambiato olio, gommini, guarnizioni e tubazioni in gomma.
  • Cambio olio motori e n.4 filtri.
  • Revisione e taratura completa (dal pompista) di n.2 pompe di iniezione con messa in fase.
  • Taratura n.12 iniettori.
  • Sostituzione degli zinchi per correnti galvaniche nell’impianto di raffreddamento.
  • Smontaggio e rimontaggio di n.2 teste motori con sostituzione delle valvole e prova delle medesime con rettifica del piano e delle sedi delle valvole. Serie completa guarnizioni.
  • Controllo compressione dei n.2 motori.
  • Smontaggio e rimontaggio assi ed eliche, sostituzione degli assi in diametro maggiorato a 32 mm con boccole in “Pom.c” e sostituzione eliche con SBM Scaccabarozzi Monza. Eseguito nuovo allineamento motori.
  • Sostituzione n.4 filtri di alimentazione con pulizia dei decantatori e spurgo bolle d’aria per messa in moto
  • Revisione completa impianto elettrico.

La barca ha le seguenti dotazioni di sicurezza: Eco, Radar, accessori per la navigazione S.L., inclusa la zattera…

Documentazione originale dello scafo e dei motori in ordine, dispongo di pezzi e materiali di ricambio

Mini-Drago-Arrow-vista-sinistra Mini-Drago-Arrow-vista-dritta

Le condizioni generali della barca e specialmente nelle strutture importanti come carena: opera via ed opera morta, coperta ecc. sono più che buone, così come per la meccanica ed i motori ed è stata sempre curata nel giusto modo e sempre da persone professionalmente qualificate.

Mini-Drago-Arrow-alata-vista-dritta  Mini-Drago-Arrow-prua

 

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