Esclusivo: video di Arcidiavolo II
Esclusivo!!! Unico documento video di Arcidiavolo II in navigazione... documento video a colori.
Esclusivo: video di Arcidiavolo II
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Restauro carene Levi – Mini Drago Italcraft – Operazione Grisù (II puntata)
Restauro carene Levi: Mini Drago Grisù II parte - Resoconto della seconda parte di questo Mini Drago Levi, costruito dalla Italcraft nel 1980. E' stato restaurato talmente bene che semba essere ritornati al 1980, anno in cui fu varata... Bello anche il resoconto della prova in mare effettuata alla fine del suo restauro totale.
Racer: Liborio Guidotti – un campione d’altri tempi
Gare Racer da circuito: Liborio Guidotti, un campione di altri tempi... quando passione, bravura personale e gusto della sfida sono vincenti lo dimostra questo campione del passato sia nella vita che nelle gare Racer dove con bolidi a tre punti si toccavano velocità sui laghi elevatissime...
Virgin Atlantic Challenger II – Per il record inglese, trasmissioni ed eliche italiane.
Il Nastro Azzurro dell'Atlantico (Blue Riband in inglese) è il riconoscimento che viene attribuito alla nave passeggeri che detiene il record di velocità media di attraversamento dell'Atlantico. Antonio Soccol racconta questa bellissima avventura di Richard Branson e "Sonny" Renato Levi progettista del Virgin Atlantic Challenger con il quale, si tentò questo record. Una bellissima avventura che merita ancora oggi di essere riletta.
La lunghezza dei pattini nelle carene a V profonda
Antonio Soccol, risponde a qualche domanda posta da un nostro lettore di vecchia data, circa i pattini delle carene a V profondo, del loro posizionamento, quantità, forma ecc.. la risposta è articolata e chiarisce con concetti tecnici molto importanti, ricorrendo alle spiegazioni tecniche che Renato "Sonny" Levi aveva precedentemente dato pubblicamente, se lo dice lui che è l'inventore delle carene a V profondo, dotate appunto di pattini, c'è da credergli assolutamente...
New Corsair Classic by Levi Boat Company
"K" Corsair 2010, un classico Sonny Levi con il tocco moderno e dettagli brillanti. Le linee del Settimo Velo e la tecnologia dei nostri giorni, un prodotto esclusivo per gli amanti delle carene Levi e non solo! Visita al Cantiere Levi Boats a Venezia, immagini esclusive per AltoMareBlu e la prova con il video realizzato da Motor Boat e Yachting
Il restauro di Budda Special – (II puntata)
AltoMareBlu, ha l'onore ed il piacere di presentarvi la seconda puntata relativa ad un restauro speciale dell'offshore "Budda Special" progettato e costruito dall'indimenticabile "Salvatore Gagliotta" di cui gli appassinati dell'epoca delle gare internazionali italiane come la VBV, il Trofeo Napoli ecc.. Un restauro interessante, fatto con esperienza ed una immensa passione, ripagata da un risultato di tutto rispetto...
Mini Drago Arrow in vendita a Rimini
Tra le barche progettate da Renato "Sonny" Levi un modello decisamente corsaiolo è il Mini Drago, costruito dai Cantieri Italcraft di Gaeta nell’apposita sezione di Bracciano che era dedicata alle barche in legno e dalla quale nacquero i modelli Sarima, Drago e Mini Drago; tra questi, un modello denominato Mini Drago - Arrow, è in vendita a Rimini
Shaft 34 C&B in vendita a Napoli
Non prediligo molto le barche in vtr, ma questo Shaft 34 - Cantiere Cigala & Bertinetti in vendita a Napoli, mi piace molto sia per il disegno di carena che per il suo impeccabile stato generale
Hidalgo “Sonny” Levi: le modifiche
Hidalgo, imbarcazione one off velocissima disegnata da "Sonny" Levi che non ha eguali al mondo. Una carena Delta di raffinata tecnologia progettuale e realizzazione magistrale del mastro d'ascia Guido Tuiach ed i tecnci dell'allora Cantiere Delta di Anzio. Un gioello tenuto in perfetta efficienza dal suo appassionato armatore e che potrebbe far gola a veri amanti di questa tipologia di barche velocissime
Corbelli Marine Power 7,50 m offshore
Corbelli Mercruiser 370 elaborato ad oltre 500 Cv, kit completo Mercruiser Hi-performance, crane cams, pistoncini cuscinettati, ragno Weiand, carburatore Holley 850 nuovo, aste benzina in titanio, scarichi in acciaio tipo Gil, cavi candele al carbonio rinforzati nuovi, supporto filtro olio rinforzato, impianto di raffreddamento maggiorato...
L’avventurosa storia di un Corbelli
La storia di caparbia passione tra il giovane Valerio, forse un po' matto... ed uno ex scafo contrabbandiero, autentico "bestione del mare" per la sua spropositata mole e potenza da 1600 CV ed ha dell'incredibile e dimostra che una risposta pronunciata in un dato momento della vita di una persona può cambiarne molto il suo corso
Restauro carene Levi – Mini Drago Italcraft – Operazione Grisù (II puntata)
Il 20 marzo di 2009 abbiamo pubblicato la prima parte di un articolo dedicato al restauro di un Mini Drago Levi, Restauro carene Levi – Mini Drago Italcraft e come promesso, pubblichiamo la seconda ed ultima parte di questo restauro degno di nota, perché è stato eseguito con attenzione e rispetto dell’originalità dello scafo, cercando di recuperare tutto quello che era possibile ed intervenendo nella sostituzione delle sole parti compromesse.
Prima di ritornare a parlare dello scafo è simpatico segnalare tutti i “complici” di tale impresa, così come li definisce Enrico, il simpaticissimo armatore di questa “fortunata barca”.
In alto a sinistra il meccanico Giancarlo detto Bubu e di seguito il suo aiuto meccanico…
Lo specialista per le decalcomanie Fabrizio ed uno dei titolari di Ankona nautica, fornitore principale di tutti i prodotti necessari al restauro della barca. Infine Franco, l’elettricista degli impianti di bordo…
Come potete vedere sono stati forniti i nuovi parabrezza in policarbonato, fatti tagliare sui vecchi dall’apposita ditta fornitrice che li ha copiati. Si evidenzia che tutta la struttura portante del parabrezza è stata rigenerata e ricostruita nelle parti compromesse e di seguito vedete, una volta ultimata e verniciata in bianco dopo tutto il ciclo completo, dalla laminazione con la resina epossidica, fino ad arrivare alla pitturazione definitiva.
Nella sede destinata al parabrezza che prima dell’incollaggio è stato opportunamente provato e controllato che vi alloggiasse correttamente, è stato steso nella quantità necessaria, l’apposito sigillante usato al di sopra delle linee di galleggiamento, quindi mascherato con l’apposita carta gommata la parte del parabrezza adiacente alla sede dello stesso ed il parabrezza, si è proceduto all’incollaggio.
Dalle ultime tre foto qui sopra pubblicate, potete vedere le fasi di incollaggio del parabrezza terminato e si nota la la grande pulizia e la precisione di questo lavoro.
I particolari di Prua
Le immagini di seguito pubblicate evidenziano ordine, pulizia e la precisione con cui sono stati montati il verricello, le bitte a galloccia, i passacavi ed il musone di prua.
In questa foto si vede la particolare bitta di poppa, a fianco lo stemma particolare dellaItalcraft dedicato al Mini Drago, riprodotto molto bene ed in modo fedele come quello autentico dell’epoca.
Altro particolare la scritta cromata dell’Italcraft ben posizionata con le caratteristiche prese d’aria ed il logo del Grisù, molto carino e la bitta di poppa. Bene anche la foto a fianco in cui si evince la precisione del restauro che ricorda in tutto e per tutto com’era questa fortunata barca quando uscì dal cantiere Italcraft a suo tempo…
Un’altra chicca è certamente la ricostruzione del pozzetto che ha richiesto un gran numero di ore di lavoro per le opere di carpenteria, laminazione, incollaggio con resina epossidica della varie parti ricostruite e riposizionate e dello stupendo quadro elettrico realizzato con molta attenzione, eleganza, perfetta integrazione nel contesto della barca, ottima distribuzione e chiarezza dei comandi. Bello anche il posizionamento delle manette, poste come previsto originariamente ed utilizzando il tipo originale Morse.
Ottima anche la scelta della ruota del timone caratteristica delle barche Levi sportive deglli anni 60′ e 70′, come per esempio la Speranzella. A questo proposito voglio citare il nome della fabbrica di volanti, la “Sport Line” delle Officine Rossi Marco S.r.l. di Santa Maria Maddalena (Rovigo), che iniziò la sua attività nel 1963 e che ancora oggi produce in un paio di modelli simili tra loro e omologati RINA, tra cui il volante tipico delle barche Levi più corsaiole degli anni 60′ e 70′.
I più grandi di età, certamente ricorderanno che questo modello di volanti erano prodotti da due diverse fabbriche per le auto sportive classiche di quegli anni e mi riferisco chiaramente alla Nardi ed alla Personal, oggi facilmente reperibili sul mercato, ma a prezzi eccessivi. Infine, bene anche per la realizzazione del pozzetto in tek, che originariamente non era previsto.
Il Varo
Si è così arrivati al tanto sospirato momento del varo, dopo tante peripezie e mesi di duro lavoro vissuto come un’avventura incredibile. Va detto che queste imprese riescono bene solo a persone che hanno le idee chiare, le giuste economie ed il saper coordinare tutti gli specialisti coinvolti in questo lavoro di restauro.
Non a caso l’armatore è un ingegnere che per motivi professionali è abituato a coordinare più artigiani e specialisti, anche se in un settore completamente diverso, ma l’esperienza è sempre grande maestra e restaurare una barca come Grisù, tenendo presente da dove si è partiti in appena dieci mesi di appassionante e duro lavoro, incavolature comprese, è impresa non da tutti e ci congratuliamo sinceramente con il bravissimo ingegnere Enrico ed i suoi “validissimi complici”, così come lui stesso li definisce affettuosamente.
Elegante e superbo il “Mini Drago” Grisù si avvia ad essere varato e si possono notare tutte le parti che si vedono nella foto e che fanno parte della trasmissione step –dive con eliche di superficie.
Prova in mare
Come detto nel precedente articolo dedicato al restauro di questo bell’esemplare di “Mini Drago” Italcraft, il suo armatore mi ha considerato “colpevole” per averlo appassionato in questa impresa e spesso durante i mesi invernali ci siamo sentiti telefonicamente e tramite e- mail per discutere di certe scelte da fare. Insomma è stato portato avanti un bel lavoro di gruppo e certamente, come più volte espresso da Enrico, armatore di questa speciale carena Levi, non potevo mancare all’appuntamento precedentemente promesso, per una prova di collaudo della barca che è avvenuta dopo la prima settimana di agosto in una bellissima giornata estiva, calda quanto basta.
Arrivato di buon mattino nella bellissima e ordinata Ancona, città da cui mancavo da oltre dieci anni e dopo una veloce puntatina in albergo per lasciare il mio ridotto bagaglio composto dal pc e qualche effetto personale, mi sono recato a piedi, visto che l’albergo in cui ero ospitato è ad un passo dal porto.
Nelle foto di seguito pubblicate ecco come si presentava il Minidrago Grisù ormeggiato nel porto di Ancona tra altre comunissime barche… Ovviamente un occhio esperto nota subito l’insolita linea aggressiva, anche se coperta da un apposito telone per preservarla dall’umidità, polvere ed altri agenti atmosferici.
Mollati gli ormeggi e scaldati i motori, siamo salpati diretti verso una bellissima baia che si trova a circa tre miglia di distanza dal porto di Ancona in direzione sud est, Portonovo, dove ci attendevano alcuni amici di Enrico a bordo di una barca a vela facendoci da appoggio per scattare qualche foto del Mini Drago, mentre insieme ad Enrico la testavamo.
I motori si sono comportati benissimo e ottimamente a punto hanno permesso alla barca di navigare subito in assetto fornendo un’adeguata spinta evidenziando immediatamente le notevoli doti corsaiole di questa particolare unità da diporto, unica nel suo genere.
Partendo da fermo, con mare calmo, dando manetta gradatamente, si nota sotto la spinata dei motori un leggerissimo accenno ad alzare il muso di prua, con i flap a 0°, ma in qualche secondo, continuando a dare manetta, la barca ha raggiunto il suo classico assetto di planata. Sono stati fatti alcuni passaggi nello specchio di mare scelto per fare la prova ed abbiamo provato a governare la barca in differenti modi, riscontrando sempre un’ottima risposta ai comandi, anche se per virare stretto ed in velocità, occorre intervenire con flap e manette. Bella la scia ed il caratteristico baffo che lascia la barca quando è in planata e potete vederlo dalle immagini a seguire.
Terminata la prova, abbiamo ormeggiato Grisù alla murata della barca a vela degli amici di Enrico, che nel frattempo ci hanno preparato un deliziosissimo spaghetto al tonno e peperoncino che ho apprezzato tanto per il modo semplice e squisito con il quale è stato preparato dal “cuoco di bordo”.
Dopo aver parlottato un po’ di barche di tutti i tipi ed immancabilmente di Altomareblu, insieme ad Enrico, ci siamo congedati dai suoi amici e risaliti su Grisù, ci siamo diretti a manetta verso il porto di Ancona, apprezzando molto le sue doti di navigazione e favoriti anche da un mare abbastanza calmo.
Concludendo posso dire con certezza che è stato eseguito un ottimo restauro di questo esemplare di Mini Drago che naviga in modo eccezionalmente bello e spettacolare. Per un po’ ho percepito la sensazione di essere tornati di colpo nel passato al 1980, quando fu varata per la prima volta. Questa la mia piacevole sensazione ed Altomareblu si congratula con il suo armatore e la sua “squadra di complici” che hanno permesso a questo stupendo esemplare di Mini Drago, di ritornare a navigare azzerando i suoi ventinove anni di vita e più bella del suo primo giorno di vita, quando prese il mare per la prima volta!
Nazca di Renato “Sonny” Levi in un racconto di Stuart Ashby
Nazca Levi – foto Rupert Richardson – 12 nov 1980 – in partenza per l’isola di Capri – Italy
Lungo 55 piedi, Nazca era la barca più lunga costruita dal cantiere Elephant Boat Yard di Bursledonin quel periodo, sul fiume Hamble, vicino a Southampton, . Il capannone dove è stata costruita era lungo solo 60 piedi, quindi si doveva risparmiare spazio in carena ed alla poppa! A causa dello spazio limitato, Nazca è stato costruito in posizione inclinata, il che significava tanto lavoro in più per assemblare lo scafo.
Barca classica Nazca Levi – Rupert Richardson
Le tavole della carena erano undicimila segmenti in cedro rosso brasiliano che furono assemblate in quattro strati incrociati tra loro a 45° sovrapposti a freddo ed incollati con colla urea-formaldeide della Aerolite.
I longheroni centrali, che fanno anche da supporto motori, erano in mogano.
I ponti strutturali sono stati laminati in abete rosso. Le paratie strutturali, le traversine e le cabine erano di compensato marino. I correnti del ponte erano di spruce.
Le parti scatolate erano in compensato di teak.
Barca classica Nazca Levi – Rupert Richardson
Le parti componenti della chiglia sono state tutte rimosse per circa 6″ a 8″ da ciascun lato della giunzione e per una profondità di circa 1/4″ per effettuare una laminazione con stuoia in fibra di vetro intrecciata e con resina epossidica WEST.
Queste parti sono state anche laminate all’interno. Le parti scatolate erano in legno di abete e compensato marino e si estendevano fino alla traversa, laminati nello stesso modo.
Ricordo ancora che lavorai molte ore per laminare queste aree, in particolare nel vano sotto la parte poppiera!
Renato “Sonny” Levi barca classica Nazca – Foto: Rupert Richardson 11 Nov 1980
L’interno è stato allestito in ciliegio leggero con una finitura non lucida. Will Hall, produttore di mobili e cognato di Tom Richardson, su indicazione specifica ha realizzato le parti in legno che sono state poi unite da John Chalcraft, un artigiano altamente qualificazioto, che aveva fatto apprendistato presso la vecchia ditta “Camper e Nicholson” – cortile a William St, Northam, Southampton.
Lo scafo, il ponte in legno e la sovrastruttura erano tutti rivestiti in WEST (resina epossidica) prima di dipingerla. Il colore della scafo era il “glassa britannico Blue”.
A causa dell’inclinazione degli alberi di trasmissione, i fori per i passaggio degli astucci erano lunghi e venivano fissati in maniera tradizionale con un foro pilota lungo (2-3 m, come mi ricordo) e poi con una barra di taglio appositamente realizzata, finché non è stato raggiunto il foro di diametro corretto per il passaggio dell’astuccio.
Il raggiungimento di un accurato allineamento di un taglio così lungo è fondamentale per le prestazioni della barca e richiede un esperto carpentiere. Il lavoro è stato affidato a Harold Aldridge, con i suoi cinquanta anni, oltre agli apprendisti Camper e Nicholson.
Nelle foto pubblicate si può vedere la finitura eccezionale dello scafo. Ciò è stato raggiunto con un’accurata esecuzione durante la fase di costruzione, seguita da preparazione e pitturazione qualificata.
Poiché ogni strato di appendice è stato montato, levigato a mano e controllato ad occhio, pianificando e poi levigando con lunghe tavole utilizzate a due mani e con vari strati di carta abrasiva a grana grossa sovrapposti e fissati alle estremità.
L’omogeneità della superficie di ogni strato è controllata dai costruttori di barche che lavorano a mano sulla superficie per assicurare che le irregolarità invisibili all’occhio siano state incollate. Quando questo processo è completo, viene montato lo strato successivo.
La levigatura è impegnativa ed affascinante. Se eseguita da esperti costruttori di barche, pone le basi per un’ottima finitura delle imbarcazioni.
Infine, sottocopertura è richiesto lo stesso livello di abilità e cura nella pitturazione. Il cantiere navale Elephant era fortunato ad impiegare Henry Biggs, un pittore esperto di yacht negli anni cinquanta, che aveva svolto il suo apprendistato sul fiume Hamble. È stato assistito da Adrian Murrey che in seguito ha continuato a dipingere yacht sul Hamble.
Barca Levi, Nazca e tutti i tecnici che hanno partecipato alla sua costruzione
Gli uomini che hanno lavorato il Nazca erano:
Nazca
Il proprietario di Nazca, Kevin Cooper, ha presentato tutto il personale del cantiere navale Elephant Boat Yard di Bursledon sul fiume Hamble vicino a Southampton con un cestino di peltro su cui era scritto ‘Nazca 1980’.
Renato “Sonny” Levi ha visitato il cantiere mentre Nazca era in costruzione e ricordo la qualità ed il dettaglio dei suoi piani di costruzione. Le immagini mostrano la pura eleganza funzionale del suo design.
Ho lasciato l’Elephant Shipyard circa 18 mesi dopo la costruzione di Nazca, ma vedo che stanno ancora costruendo e ripristinando barche in legno e molti degli uomini che hanno costruito Nazca stanno ancora lavorando.
Stuart Ashby
Crediti: Le fotografie da ‘Nazca 1 a ‘Nazca 5 sono state originariamente scattate da Rupert Richardson (che, credo, ha anche scattato le fotografie presenti su AltoMareBlu), le altre tre foto le ho scansionate da riviste e quindi stampate. Purtroppo il colore si è alterato nel corso degli anni. (le foto pubblicate in questo articolo sono state restaurate da Alessandro Vitale AltoMareBlu.
At 55 ft LOA, Nazca was the longest vessel to be built at the Elephant Boatyard up to that time. The building-shed was only about 60 ft long, so there was very little room to spare at the bow and stern ! Because of the restricted space, Nazca was built upright, which meant a lot of overhead work when we were planking and fairing the hull.
Hull planking was Brazilian Cedar, 4 skins, cold-moulded with Aerolite urea-formaldehyde two-part glue. Centreline, shaft logs and spray rails were mahogany. Structural floors were laminated spruce. Structural bulkheads, transom and cabin soles were marine plywood. Deck beams were spruce. Decks were teak on plywood.
The keel, chine, stem, sheer and transom joints were all rebated for approximately 6″ to 8″ each side of the joint to a depth of approximately 1/4” to accept a laminate of woven-roving glassfibre mat and WEST epoxy resin. These joints were also laminated inside. The box-section spruce and marine plywood engine bed girders, which extended through the lazarette to the transom, were also laminated in the same way. I still remember spending a lot of hours laminating these areas and grinding them afterwards, particularly in the lazarette below the aft deck !
The interior was fitted out in figured light cherry with a non-gloss finish. Will Hall, a cabinet maker and brother-in-law to Tom Richardson, was brought in especially to make the joinery units and was later joined by John Chalcraft, a highly-skilled yacht joiner, who had been apprenticed at the old Camper and Nicholson’s yard at William St, Northam, Southampton.
The hull, plywood deck and superstructure were all coated in WEST before painting. Hull colour was International Britannia Blue, single-part gloss enamel.
Due to the shallow angle of the propellor shafts, the holes for the stern-tubes were long and were bored out in the traditional way, firstly by a pilot-hole bored with a long bit (2-3m, as I recall) and then with a specially made boring-bar with adjustable cutters. Several cuts were made with this boring-bar, the cutters being re-set to cut a slightly larger diameter with each cut, until the correct diameter hole for the stern-tube had been achieved. Achieving accurate alignment of such a long cut is crucial to the boat’s performance and requires an experienced boatbuilder. The work was entrusted to Harold Aldridge, then in his fifties, who had also been apprenticed at Camper and Nicholson’s.
In these photographs, the exceptional finish of the hull can be seen. This was achieved by accurate fairing-in during the building stage, followed by skilled preparation and painting. As each skin of planking was fitted, it was faired in by hand and eye, firstly by planing and then by sanding with long two-man sanding-boards using coarse-grit abrasive paper. The fairness of each skin is checked by the boatbuilders running their hands over the surface to ensure that irregularities invisible to the eye have been faired-in. When this process is complete, the next skin is fitted. Fairing-in is labour-intensive and painstaking but, if carried out by skilled boatbuilders, it lays the foundation for the ultimate yacht finish.
The final grain-filling, undercoating and glossing requires the same level of skill and care. The Elephant boatyard was fortunate at this time to employ Henry Biggs, a skilled yacht painter in his fifties, who had served his apprenticeship on the Hamble River. He was assisted by Adrian Murrey who later continued painting yachts on the Hamble.
The men who worked on Nazca were Richard Langton, Glen Murrey, Stuart Ashby, Jim Lucey, Will Hall, John Chalcraft, David Heritage, Alastair Garland, Harold Aldridge, Henry Biggs, Steve Cole, Rupert Richardson, John Richardson, Adrian Murrey and Bob Gibson.
Nazca’s owner, Kevin Cooper, presented all the Elephant boatyard staff with a pewter tankard inscribed ‘Nazca 1980’. Mine still sits on my window-cill to this day !
Mr. Levi visited the yard whilst Nazca was under construction and I remember the quality and detail of his building plans. The pictures show the sheer functional elegance of his design.
I left the Elephant Boatyard about 18 months after Nazca but I see that they are still building and restoring wooden boats and several of the men who built Nazca are still working there.
Catamarani da CORSA estratto dal libro “Dhows” to Deltas” di Renato Sonny Levi
Nel campo dei catamarani veloci Levi ha avuto diverse esperienze. Ne ha progettati per gare in circuito, per gare offshore di classe III e ne ha studiati altri – peraltro non costruiti – sia per le classi OP1 e OP2, sia per il diporto.
Ecco alcune delle realizzazioni concrete.
<<Dhows to Deltas>>, il libro di Renato “Sonny” Levi pubblicato in lingua inglese nello scorso autunno, sta avendo un ottimo successo editoriale in tutto il mondo. In Nuova Zelanda come in Australia, in Gran Bretagna come negli USA viene considerato ormai la bibbia degli scafi veloci, sia da circuito che, soprattutto, d’altura. Il fatto è che in questo libro Levi non ha nascosto nulla delle sue esperienze, delle difficoltà che ha incontrato nella progettazione dei più veloci bolidi, degli errori commessi, dei vantaggi dati da certe sue proposte. Insomma ha detto tutto, nella convinzione che questo possa esser utile a quanti si occupano in qualsiasi modo della nautica agonistica o da diporto.
Mondo Sommerso è lieto di informare i suoi lettori di avere acquistato il diritto di pubblicare una serie di estratti da questo libro scegliendo gli argomenti più interessanti fra quanti sinora non sono stati ancora trattati in Italia dal noto progettista, La traduzione del testo inglese è a cura di Maurizio Adreani e Antonio Soccol.
Questo mese abbiamo scelto l’argomento catamarani. Iniziano anche in Italia le gare offshore di classe III e molti costruttori e piloti sono in dubbio nella scelta fra monoscocche e biscafi. Anche nelle classi superiori (OP1) si sono visti alcuni catamarani: ciò significa che l’argomento è all’ordine del giorno. Ecco dunque alcune esperienze dirette ed alcune considerazioni tecniche di Renato « Sonny » Levi sul problema.
(conforme al regolamento <<Fuoribordo da corsa>> classi 01, ON, OZ)
Ho basato questo progetto non solo sul concetto dei catamarani di Molinari ma
anche su quelli di molti altri che sono stati recentemente prodotti, conformi all’attuale
regolamento per le categorie 01, ON e OZ. Avevo già progettato catamarani di questo tipo in precedenza ma nessuno era stato costruito.
Dal mio punto di vista i principali problemi da risolvere qui erano:
Diversi fattori influenzano la questione dell’assetto: il baricentro, la forma degli scafi a poppa, la linea di spinta. Quest’ultima richiede molta paziente sperimentazione pratica per la correzione degli errori.
L’altezza della piastra anticavitazione del motore fb rispetto al fondo del tunnel ha una notevole importanza per la velocità dello scafo. Naturalmente, più alta è la posizione in cui può essere posta la piastra anticavitazione evitando che l’elica caviti, maggiore sarà la velocità a causa della riduzione della resistenza offerta dal piede.
Alcuni catamarani in velocità hanno un assetto per cui solo una parte del mozzo e metà dell’elica si trovano in acqua, qualcosa di simile a quanto avviene con i tre punti.
Ritengo che in gara la tecnica di guida ed il peso del pilota abbiano un valore determinante per il successo di un catamarano piuttosto che un altro. Ho visto spesso 30 o 40 di questi scafi, con circa le stesse caratteristiche (ed in alcuni casi modelli identici), in gara fra di loro e due o tre che si staccavano lasciando indietro gli al- tri. Quasi sempre questi scafi vincenti avevano gli stessi piloti.
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(Fine prima puntata)
Articolo pubblicato sulla rivista nautica “Mondo Sommerso” – luglio 1972 e qui riprodotto da AMB p.g.c. dell’autore.
Catamarani da CORSA dal libro “Dhows to Deltas” di Renato Sonny Levi (ultima puntata)
Nel 1966 feci molti progetti di catamarani a motore utilizzando il principio del «ram wing ». Uno di questi fu il Fat Cat di Lady Aitken. Questa barca fu costruita da Len Melly e John Merryfield ed iniziò a gareggiare nella classe III nel 1966.
Come base, la geometria di questa barca era la seguente:
Due scafi simmetrici da 6,10 m molto a V collegati fra di loro da una sezione alare portante. I due scafi erano stati costruiti in lamellare ed avevano i normali pattini longitudinali, in questo caso tre per lato: l’ultimo formava lo spigolo.
La larghezza di questi scafi era tale da potere accogliere una persona entro di essi: così il pilota sedeva in uno e il navigatore nell’altro.
Il regolamento della classe III richiedeva una minima apertura nel cockpit di 61 x 76 cm per ogni persona sotto forma di un solo cockpit della larghezza di 122 cm e della lunghezza di 153 cm oppure due cockpits larghi 61 cm e lunghi 76 cm lo scelsi per ragioni strutturali la soluzione con due cockpit disponendoli nei due scafi onde poter mettere la trave di collegamento ad H di due scafi tra i due cockpits.
Il rapporto spessore/lunghezza del profilo alare di questo ponte era poi determinato dalla regola della minima profondità ammessa, che richiedeva almeno 454 mm in qualsiasi punto della apertura del cockpit. La minima dimensione del cockpit non stava comunque entro gli scafi così dovetti lasciare due cockpits fittizi nel ponte di collegamento degli scafi. Poiché nessuno comunque si sarebbe seduto in questi cockpits, essi furono coperti, co-
me è permesso dal regolamento, rendendo possibile un profilo aerodinamico.
L’idea base del «ram wing » è di ottenere un sostentamento aerodinamico in velocità, riducendo in tal modo la superficie bagnata degli scafi. Nel primo progetto avevo delle fessure alle estremità dell’ala con la speranza di aumentare il sostentamento, e anche un flap sul bordo di uscita dell’ala tra i due scafi per lo stesso motivo. Inoltre speravo con questo flap di poter controllare l’assetto aerodinamicamente. Ambedue queste raffinatezze vennero successivamente eliminate poiché non si dimostrarono di reale utilità (forse lavelocità era troppo bassa) e in effetti erano solo una complicazione in più.
Penso di avere posto troppa importanza alla robustezza della struttura con un conseguente aumento di peso. Uno dei problemi con questi pluriscafi è quello di ottenere un collegamento robusto tra le due scocche e probabilmente ho esagerato in questo rispetto. Maggiore è il diedro in uno scafo più esso è morbido su acque mosse. Infatti mi è stato detto che “Fat Cat” era uno dei migliori scafi della classe III su acque agitate.
Lady Aitken, uno dei piloti femminili più qualificati nelle gare offshore, ha gareggiato anche in varie corse della classe, II adottando 3 motori: il terzo motore era montato al centro del bordo di uscita dell’ala/ponte di collegamento.
Questo progetto deriva da quello del Fat Cat con diverse modifiche.
Nel 1967 ci fu un cambiamento nel regolamento della classe III relativo alle aperture del cockpit. Vennero ammessi quattro cockpit separati: questo consentiva il loro collocamento negli scafi e la adozione di un profilo alare più sottile.
Utilizzai un profilo USA 3S-B modificato, con uno spessore pari al 12% ed appiattii la parte inferiore del 15% dalla corda fino al bordo d’uscita. La sezione più sottile e gli scafi più bassi consentirono una considerevole diminuzione della sezione frontale e di conseguenza una minor resistenza aerodinamica.
Diversi giudizi piuttosto dogmatici sono stati espressi sul problema della posizione in cui dovrebbe trovarsi il centro di pressione (C.P.) in queste imbarcazioni rispetto al baricentro (C.G.). Non molto tempo fa ho letto un rapporto preparato da un gruppo di esperti che avevano effettuato alcune prove su un «ram wing» da me progettato. Si diceva che il progetto non poteva funzionare perché il C.P. si trovava a poppa del C.G.: questo dovrebbe significare implicitamente che uno scafo di questo genere può andar bene solo se il <centro di pressione> si trova davanti (più a prua) del baricentro.
Posso solo pensare che questa conclusione sia stata raggiunta seguendo la teoria aeronautica: ma gli aeroplani possono (e lo fanno, infatti) volare con il centro di pressione più indietro del baricentro. lo stesso ho progettato un aeroplano, il Moonson, basato su questo principio. Si deve ammettere una stretta analogia tra i “ram wings” e gli aeroplani quando si arriva a parlare del problema dell’equilibrio.
Per tale motivo bisogna tener conto anche di altre due forze: la spinta (T) e la resistenza aerodinamica ed idrodinamica (D). La resistenza idrodinamica provoca l’abbassamento della prua. Senza entrare nei dettagli si può comunque affermare che la miglior posizione per il centro di pressione (C:P.) dipende dalla grandezza e dalla posizione delle forze coinvolte.
Con uno scafo di questo tipo, ‘relativamente’ lento si possono, per esempio, ottenere velocità più elevate con un C.P. spostato molto a prua in modo da ottenere un sollevamento di questa e quindi una riduzione della superficie bagnata. La stessa posizione del C.P. in una barca veloce, invece, può provocare un eccessivo sollevamento della prua con conseguente pericolo di rovesciamento (di mettersi la barca in testa, insomma).
Nel caso particolare di questo «ram wing ho spostato l’ala ancora più a poppa rispetto agli scafi in modo di avere il C.P. più vicino al baricentro. Il diedro è stato ridotto di circa la metà rispetto al Fat Cat di Lady Violet: questo comporta un aumento di velocità ma anche una navigazione più dura. Lungo gli scafi ho ricavato dei gradini (tipo redan): ho introdotto questa modifica per diverse ragioni.
Primo, per cercare di ridurre la superficie bagnata, secondo (e forse ancor più importante) per ridurre il beccheggio, dato che così si ottengono quattro superfici di contatto con l’acqua invece che due. La riduzione del movimento di beccheggio è particolarmente desiderabile in un «ram wing » dato che l’ala può operare più efficacemente quando le variazioni rispetto all’angolo di Incidenza optimum sono minime. Una accurata regolazione dell’angolo di incidenza migliore e del miglior assetto della barca si può ottenere per mezzo di flaps disposti sul bordo d’uscita del gradino e/o sullo specchio di poppa.
Infine la costruzione di questo “ram wing” è stata notevolmente semplificata in modo di avere strutture più leggere e più economiche.
Articolo pubblicato sulla rivista nautica “Mondo Sommerso” – luglio 1972 e riprodotto da AMB p.g.c. dell’autore.
Un caldissimo pomeriggio del mese di luglio del 2015 ho ricevuto una mail da parte di Gianluca Guelfi, una persona con la quale non avevo ancora avuto contatti. Nel leggere la sua mail di presentazione, si complimentava con me e tutto lo staff di AltomareBlu, in quanto trovava il nostro sito veramente interessante, definendolo testualmente: una “perla rara” nel web.
A2V Advanced Aerodynamic Vessels
Il testo integrale della mail:
Ho letto con passione tutti i vostri articoli e contengono una incredibile memoria storica per tutta una nuova generazione di progettisti, a cui appartengo. Solo guardando indietro questa bellissima storia fatta di barche veramente riuscite, cantieri sani, progettisti innovatori e tanta ricerca dai motori ai propulsori, mi fa riempire di motivazione e amare il mio lavoro.
Leggendo gli articoli di Levi e di Harrauer ho visto il panorama desolato che esiste oggi, fatto di yacht demisurati, scafi mal riusciti e progettisti mediocri. Adoro gli articoli di Antonio Soccol per la loro schiettezza e la sua perfetta visione critica ma vera, di questo triste scenario attuale fatto di brutte barche, lobby universitarie, cantieri loschi… che tutti gli altri mi sarebbe piaciuto incontrarlo un giorno, mi dispiace molto che se ne sia andato.
Non mi sono presentato, sono Guelfi Gianluca un giovane ingegnere nautico e lavoro in Francia dove ho fondato due anni fa insieme ad altri una giovane società di ricerca nel campo della nautica. Qui il Francia, costa ovest, sono venuto per lavorare nella ricerca “aeroidrodinamica” di barche a vela nello studio di Marc Lombard a La Rochelle.
Qui ho conosciuto delle persone che mi hanno insegnato tanto, dei giovani appassionati che amano quello che fanno, ho respirato l’ambiente “Mini transat” fatto di barche di 6.5m super tecnologiche costruite spesso in garage.
Qui tutti si conoscono e idee fantastiche nascono nei bar tra navigatori e progettisti. Poco cambia se in Altomareblu si parla di barche a motore, è questo ambiente ricco di passione, ricerca, esperimenti e innovazione che amo e che ho sempre cercato e che esisteva ancora una trentina di anni fa per la motonautica.
Ci siamo trovati trovati cosi con quelli che oggi sono i miei colleghi, intorno a questa voglia di ritrovare un ambiente dove la bellezza della nautica di sposta a quella della ricerca scientifica. Insieme abbiamo trovato il modo di lavorare su un nuovo progetto di barche a motore da lavoro, che sfrutta l’efficienza dell’aerodinamica per migliorare le performance energetiche di queste barche.
Ci ha sorpreso e incoraggiato vedere che parte di questa idea era stata già esplorata e discussa da progettisti del calibro di Levi e Harrauer, verso la fine della loro carriera, quando pensavano alle barche del futuro.
L’idea di per se esiste da molto tempo data la sua semplicità, i WIGo i SES per esempio, ma come dice l’arch Franco Harrauer, i progetti sono sempre stati frenati a causa delle troppo grandi ambiziosi in termini di velocità per esempio, quindi con forti limiti in termini di sofisticatezza della propulsione/sicurezza etc.
Il nostro obiettivo e la nostra idea è stata quella di riprenderla rendendola semplice e sicura. Abbiamo lavorato per sviluppare una forza aerodinamica alta fin dalle basse velocità, in modo da limitare la velocità alla quale questa diventa significativa e la utilizziamo non per andare più veloci in assoluto ma poter ridurre a parità di carico utile il consumo di carburante.
L’altra linea di ricerca è stata quella della stabilità dinamica per creare un concetto sempre sicuro. Studiando la dinamica abbiamo anche analizzato le capacità dell’aerodinamica di smorzare i moti e migliorare la tenuta al mare.
Dopo un anno e mezzo di ricerca, principalmente numerica, abbiamo messo in acqua il nostro prototipo di misura che naviga qui a La Rochelle da circa 3 mesi. Il prototipo ha confermato quasi tutti i nostri risultati e dalla prima uscita ci ha dato veramente delle belle sensazioni a bordo. Se possibile mi piacerebbe che inoltrasse questa mail all’arch. Harrauer ed all’ing. Levi.
Mi piacerebbe poter mostrare il progetto a loro che probabilmente hanno già immaginato questa barca. Colgo l’occasione per invitarvi a bordo del prototipo per venire a provarlo di persona qui a La Rochelle, mostrarvi le nostre ricerche e i nostri progetti per il futuro.
Dopo aver risposto all’ing. Gianluca Guelfi, complimentandomi per l’idea che ho subito definito come interessante e validissima, ho inoltrato all’arch. Franco Harrauer questa mail con tutto il suo contenuto chiedendogli di esprimere una sua opinione in merito a questo interessantissimo studio, cosi come era desiderio dell.ing. Guelfi.
Di li a pochi giorni la risposta di Franco Harrauer che di seguito si può leggere:
Carissimo Gianluca,
ho ricevuto tramite la cortesia dell’amico Giacomo di AMB, le foto del tuo CORAGGIOSO catamarano sperimentale. Complimenti per il tuo lavoro, ma nelle foto non si possono vedere elementi necessari per un giudizio. Tuttavia, ritengo comunque molto interessante quello che hai realizzato.
Il piacevole DESIGN presuppone anche uno studio aerodinamico del tunnel e un impegno strutturale nello studio idrodinamico con i due Mercury a tutta potenza da un valore critico che deve essere superato con un ulteriore studio dell’idrodinamica ed incremento della propulsione.
Levi ed il sottoscritto (vecchi piloti) crediamo fermamente nel valore della ricerca e della sperimentazione.
Attualmente lavoro in Brasile per la progettazione di catamarani da lavoro per la Petrobras con propulsione ad eliche semisommerse.
Lo Squid Bone è un trimarano monomotore (1.700 KW) con eliche di superficie e velocità di crociera di 60 Nodi. Questo progetto deriva dai pattugliatori destinati ad un noto paese del Sudamerica. Un progetto in “stand by”, insieme al grande WIG.
Come puoi vedere la nautica non è in crisi, ma sono i cervelli in letargo! CORAGGIO…
Franco Harrauer
Questa la risposta incoraggiante di Franco Harrauer che incitava l’ing. Gianluca Guelfi a continuare nella sperimentazione e realizzazione poi del progetto divenuto esecutivo.
Sono passati oltre due anni da questo ultimo contatto con l’ing. Guelfi e qualche giorno fa ho ricevuto la sua ultima mail in cui mi ha comunicato la consegna della A2V del crewboat A2V-25-CB al committente Peshaud International. In effetti è la realizzazione conseguente al prototipo realizzato alla Rochelle. In questi giorni A2V consegna la sua prima barca commerciale crewboat basata sul sostentamento aerodinamico.
“Clementine” é il primo esemplare della A2V-25-CB Advanced Aerodynamic Vessels prodotto, un imbarcazione crewboat per il trasporto tecnici disegnata e costruita in Francia per l’armatore Peschaud International, che la metterà in servizio in Gabon. L’imbarcazione ha completato con successo tutti i test a mare ottenendo la classe Bureau Veritas e la validazione della bandiera Francese.
Un importante conferma per l’applicazione della tecnologia A2V di sostentamento aerodinamico applicato alle barche da lavoro.
Clementine raggiunge una velocità di servizio di 40 nodi con solo due motori Scania da 600 CV ciascuno. Veramente interessante il valore del consumo sul miglio percorso che risulta essere più che dimezzato rispetto ad altre imbarcazioni concorrenti.
Questo risultato consente grandi economie nel consumo di carburante per gli armatori; nello specifico si risparmiano circa 500 000 litri di gasolio in un anno per ogni imbarcazione.
I consumi ridotti notevolmente ed i tempi di trasferimento ridotti, con il confort da business class collocano la A2V in una posizione privilegiata con uno nuovo standard interessante per il trasporto marittimo dei passeggeri.
In contemporanea alle costruzioni in corso, la A2V sta sviluppando nuovi progetti basati sullo stesso concetto. Pertanto continua il lavoro di ricerca e sviluppo sia tramite simulazioni numeriche che attraverso il prototipo in scala reale. Dopo circa tre anni e più di 4000 miglia di navigazione percorse, il concetto di questa unità è risultato essere validissimo in molteplici condizioni meteo marine, raggiungendo la velocità di 60 nodi.
Congratulazioni a tutto lo staff tecnico giovane e coraggioso di questa nuova realtà che sta prendendo il largo ed auguriamo un meritato successo, senza dimenticare quello che i nostri “Autorevoli Maestri – Renato Sonny Levi e Franco Harrauer” ci hanno insegnato: effettuare tanta sperimentazione e test di collaudo severissimi in cui sperimentare ogni particolare ed ogni nuova soluzione, fino a quando si raggiungono risultati certi.
E’ da qui che si parte per arrivare al successo di un’idea!
AltoMareBlu
L'articolo A2VA2V consegna il crewboat A2V-25-CB a Peshaud International proviene da Nautica e barche d'epoca - Altomareblu.
Nel 1972 in varie riviste dedicate alla nautica fu presentata la produzione dei vari modelli che si rilevarono poi essere di successo per due motivi fondamentali:
Abbiamo descritto in più occasioni di varie barche costruite dal cantiere Zarcos S.p.A., ma non avevamo mai dato il giusto spazio che meritavano. Lo spunto ce lo ha dato Salvatore Musella, lettore di Altomareblu sito web e della nostra pagina di Facebook, appassionato di queste carene. Infatti, avendone vista qualcuna da vicino ne è rimasto notevolmente colpito per la bellezza e la qualità di quelle costruzioni.
Ho così preso spunto da questo stimolo esterno e dopo una ricerca nei nostri archivi, tra pubblicità dell’epoca e presentazioni pubblicate su varie riviste del settore le riproponiamo per non dimenticare la storia di questo cantiere. Mi rendo conto che è pochissimo, ma meglio poco che niente. Tuttavia, da queste poche notizie e foto di seguito pubblicate, un’idea della produzione di barche Zarcos si riesce ad averla.
Ci tengo a precisare che si tratta di inserti staccati dalle riviste dell’epoca e non avendo riferimenti precisi, chi me le ha regalati evitando che finissero al macero, mi ha riferito che queste preziose testimonianze d’epoca, risalgono a pubblicazioni presenti sulla più antica rivista del settore nautico “Nautica”, oltre a “Mondo Sommerso” e forse qualche altra di cui non ricordo. Tuttavia, ritengo doveroso citare le fonti, ringraziandoli comunque per la preziosa testimonianza storica che ci hanno lasciato.
Il Cantiere Navale Zarcos di Marcello Scorza negli anni 1967/68 produsse in serie le seguenti barche:
Zarcos 11/M
Tutta la produzione delle carene Zarcos era realizzata in quattro strati di lamellare di mogano incrociati a 45° tra loro ed incollati con colla resorcinica. Il primo “Zarcos 11/M” fu varato all’inizio del mese di ottobre del 1969 nel Tevere, luogo dove i Cantieri Navali di Marcello Scorza avevano la loro sede.
Zarcos 10/M
Barca indicata per crociere familiari. Costruita in quattro strati di mogano lamellare, incollati con colla resorcinica ed incrociati tra loro a 45°.
Zarcos C.V. 500
Questa imbarcazione nacque da una carena da competizione ed fu costruita per crociere e spostamenti veloci. Il sistema di costruzione era sempre lo stesso, lamellare di mogano in quattro strati incollati ed incrociati tra loro a 45°con colla resorcinica (detta anche colla rossa). Progetto: ing. Renato “Sonny” Levi.
Il Cantiere Scorza nella stagione 1967-68 riscosse molto successo sia di vendite ed ordinazioni, tanto che fu assorbita l’intera produzione 1967-68-ed ha ricevuto ordini e consegne per tutto il 1969.
Risulta che durante l’estate 1968 le imbarcazioni vendute abbiano navigato regolarmente per lunghe crociere senza che al cantiere pervenissero lamentele da parte degli acquirenti e senza che si fosse verificato alcun incidente.
Il risultato descritto fu molto importante per il cantiere Zarcos tanto che non temette alcun confronto con altre produzioni che, pur essendo più commerciali, non erano adeguate alle esigenze della clientela che voleva cabinati particolarmente adatti alla navigazione per lunghe crociere.
Purtroppo non è molto quello che sono riuscito a mettere insieme circa la produzione dei cantieri Zarcos di Roma, ma meglio di niente e spero che il nostro lettore Salvatore Musella sia rimasto soddisfatto…
L'articolo Cantieri Navali Zarcos S.p.A. – Novità dal 1969 al1972 proviene da Nautica e barche d'epoca - Altomareblu.
di Antonio Soccol
Qualche tempo fa Ivan, un nostro storico & affezionato lettore, ci aveva scritto ponendoci queste domande:
Data l’importanza dell’argomento sul quale da anni si rincorrono sciocche credenze, avevo chiesto al comitato di redazione di AltoMareBlu di lasciare a me la risposta. Ma, (c’è sempre un ma nelle storie, vero?) sono poi successe quasi contemporaneamente due cose:
Cosa aveva scritto nel suo articolo il progettista che stimo? Queste testuali parole:
Importante è che i pattini non si estendano troppo oltre la linea di ristagno (cioè la linea costituita dal congiungimento di tutti i punti di ristagno per ogni sezione longitudinale della carena)”. In brutale sintesi sembrava quasi un invito a tagliare i pattini a metà carena.
Va subito detto che se Ivan avesse voluto risposta immediata avrebbe potuto trovarla proprio su AltoMareBlu a (La progettazione degli scafi plananti di Renato “Sonny” Levi), dove Renato “Sonny” Levi scrive testualmente (e se lo dice lui che è uno degli inventori delle carene a V, è voce autorizzata):
Questi pattini aumentano la stabilità dinamica sia direzionale che trasversale.
- Il primo caso è dovuto ad un aumento di pressione sulle parti verticali esposte alla spinta dell’acqua.
- Il secondo caso è dovuto ad un incremento di incidenza e di superficie della parte più immersa.
Un concetto diffuso e sbagliato sostiene che i pattini sono utili solo nella parte prodiera e che creano solo attrito a poppa. Questo non è esatto. Questa conclusione è probabilmente basata sull’esistenza di carene che navigano troppo piatte con pattini lungo tutto il fondo. In questi casi, togliendo una parte dei pattini a poppa, si riduceva il sostentamento e si aumentava la velocità.
Si poteva ottenere molto probabilmente lo stesso risultato, se non maggiore, lasciando lavorare i pattini lungo tutta la carena, ma spostando il baricentro della barca più a poppa. Un progetto riuscito per uno scafo da mare aperto è quello che consente di navigare in modo efficiente entro tutta la gamma di velocità richieste. Dovrebbe essere in grado di mantenere alte velocità in acque mosse con il massimo comfort. Per una determinata misura di scafo il grado di comfort dipende dalla velocità: più questa è elevata, più è elevato il movimento.
Aumentando il diedro nella zona di impatto, si migliora questa situazione con la penalità di un incremento di attrito alle basse velocità. Il punto focale nella zona di alto impatto si muove progressivamente verso poppa, mano a mano che la velocità aumenta fino al raggiungimento delle velocità molto elevate, V /Rad L > 8 sarà proprio all’estrema poppa. Questo indica che il diedro in un progetto deve essere variato secondo la velocità.
Alla luce della complessità della faccenda ho deciso di chiedere l’opinione ad una serie di altri progettisti nautici. E alcune inconfutabili realtà sono venute a galla. Un grande esperto mi ha per esempio spiegato che:
I pattini che si estendono verso poppa oltre la linea di ristagno aumentano la resistenza?
In questo caso l’autore dell’articolo riporta ciò che c’è scritto sul libro di Costaguta (Fondamenti di Idronautica), un bellissimo libro, ma un po’ vecchiotto (1980). Nel libro, Costaguta riportava le teorie di Eugenie Clement che erano ancor più vecchie (1960-64). Tali teorie si basavano sui pochi dati allora a disposizione, tutti elaborati dalle prime serie sistematiche di scafi plananti che avevano caratteristiche geometriche ben definite (angolo di rialzamento del fondo molto contenuto intorno ai 10°).
Premesso questo perché ho detto che ciò è vero ma solo in parte?
Per dare una risposta bisogna prima capire gli effetti positivi e negativi che possono avere i pattini ed alla fine fare il solito bilancio.
Vantaggi:
per prima cosa i pattini riducono la superficie bagnata, e ciò avviene proprio nella zona della linea di ristagno (c’è una bella figura nel libro di Sonny Levi che chiarisce perfettamente il concetto). Quindi se ci limitiamo a valutare quest’effetto è chiaro che non ha senso far proseguire i pattini verso poppa. Ma i pattini possono anche far aumentare la portanza a poppa (la barca esce un po’ di più dall’acqua e la resistenza diminuisce) raddrizzando il flusso che tende a sfuggire lateralmente, fenomeno questo che aumenta all’aumentare dell’angolo del fondo. Infine aumentano la stabilità direzionale e trasversale.
Svantaggi:
quando invece ci sono trappi pattini o pattini troppo grandi, si hanno dei problemi fondamentalmente dinamici: la barca diventa dura e governa male perché tende a rimanere piantata sulle pareti laterali dei pattini. Si verifica anche un aumento di resistenza perché all’aumentare delle dimensioni/numero il disturbo idrodinamico prodotto è maggiore del beneficio prodotto dalla maggiore portanza.
Conclusioni:
Ai soli fini della resistenza, proseguire i pattini a poppa ha senso quando la velocità è sufficientemente alta da avere la generazione di una significativa portanza, portanza che la presenza dei pattini aumenta, altrimenti il disturbo idrodinamico prodotto è maggiore del beneficio. Quindi i pattini a poppa su un motoscafone semidislocante non hanno senso.
Inoltre i pattini a poppa lavorano di più all’aumentare dell’angolo di fondo. Con angoli elevati l’effetto come raddrizzatori di flusso è maggiore, e di conseguenza sarà maggiore la portanza sviluppata. Per piccoli angoli di fondo invece l’effetto raddrizzante è minimo perché il flusso è già abbastanza dritto per conto suo e, di conseguenza, il disturbo idrodinamico prodotto sarà maggiore del beneficio. Tra l’altro questa era la situazione che aveva a disposizione all’epoca Clement dalla quale aveva dedotto le sue teorie.
Infine, dato che i pattini generano un aumento di portanza, che a sua volta genera il cambiamento delle condizioni di equilibrio della carena (trim), è necessario, prolungando i pattini a poppa, arretrare il baricentro della barca (centro di gravità) per avere sempre l’assetto ottimale (viceversa se elimino i pattini a poppa) . In pratica bisogna ribilanciare, ottimizzandola, la barca con e senza pattini. E questo è un altro elemento che Clement trascurò a suo tempo, perché fece le prove con e senza pattini nelle stesse condizioni.
Insomma, quasi sessanta anni di confusione e di stupide polemiche, nascono da una sperimentazione bufalo/tarocca fatta da questo Eugenie Clement.
Naturalmente stiamo parlando di barche con trasmissioni classiche: gruppi efb, eliche immerse, eliche di superficie. Perché se entriamo nel settore delle trasmissioni a idrogetto alcuni valori possono cambiare. “In questi casi – mi dice l’amico progettista Sergio Abrami – io preferisco troncare i pattini all’incirca alla 6° ordinata di calcolo per non disturbare l’entrata dell’acqua nel jet”.
I pattini possono arrivare tranquillamente sino a poppa, basta saper dar loro l’incidenza corretta e conoscere esattamente dove sia il centro di gravità dello scafo. Impresa facile per chi sa progettare. In caso contrario esiste sempre la risposta che diede Renato “Sonny” Levi ad un folto gruppo di tecnici che gli chiedevano se sapesse dove si trovava appunto il Centro di Gravità di un suo importante progetto: “Beh, – disse il grande Levi con aria irridente – possiamo sempre mandar dentro alla barca un cane da tartufo e vedere se lo trova!”
Questo aneddoto storico serve per chiudere in allegria sessanta anni di stupidaggini create anche con malizia da parte dei molti “denigratori di professione” di cui siamo maledettamente ricchi. Gente che parla male degli altri per mettersi in evidenza e che poi spara solo balle a gogò. Certo, toccare i pattini significa saper progettare una carena e quindi una barca, cosa ormai piuttosto rara.
Caro Ivan, spero di esser stato esaustivo e aver così risposto alla tua domanda e grazie per avermi concesso di far finalmente luce su un misterioso dettaglio così importante.
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L'articolo La lunghezza dei pattini nelle carene a V profonda proviene da Nautica e barche d'epoca - Altomareblu.
A fine Gennaio del 2010 ho ricevuto una mail che attendevo da qualche tempo.
Era in costruzione una nuova barca Levi, di più non mi era dato sapere ma sia la fonte che la persona che mi avevano passato questa indiscrezione, godevano di tutta la mia stima per sapere che una nuova pagina Levi stava per essere scritta e infatti… il sogno si è avverato.
Sono stato invitato presso i cantieri della Levi Boats Company a Venezia e a Febbraio 2010, ho potuto conoscere Antonello Villa e Martin Levi che su progetto di Renato “Sonny” Levi, hanno modernizzato il Corsair del 1999.
Al primo impatto visivo impressionano le accurate rifiniture, non certo usuali per unità di queste dimensioni. A dire il vero e forse per assurdo, fuori dall’acqua è anche meglio perché, l’opera viva di questa fantastica carena si fa ammirare, è un concentrato di studio, tradizione, sicurezza e di storia e le fotografie parlano da sole. L’angolo al diedro di poppa è di 23° e potete immaginare l’emozione quando ho visto K… il mio cuore ha subito ricordato la storia di questa carena che si ricollega al famosissimo Settimo Velo e alla progenitrice ‘A Speranziella.
Il colore l’ho trovato elegantissimo e il pattino in legno è veramente una sfumatura d’eleganza. Ma è l’insieme che rende questo oggetto, un culto per i veri appassionati di mare e di barche costruite con un certo criterio di tecnica, eleganza, armonia e con la cura del particolare, come può essere il logo (il famosissimo Ippocampo con l’ombrellino) ricamato dietro i sediolini o al semplice portachiavi personalizzato con il logo Levi di cui, mi è stato fatto gentilissimo dono e che conservo con cura e estrema gelosia.
Il ponte è tutto in doghe di teack come il passo d’uomo, differente e molto più bello del precedente e primo prototipo Corsair che era in materiale meno nobile.
Non è sempre facile immaginare di vedere una carena Levi riproposta in chiave moderna, ma indubbiamente è certo aspettarsi che i tempi, la tecnologia, i materiali più leggeri, le nuove motorizzazioni, possano ancora dire e fare moltissimo su progetti di carene dalla indiscutibile e comprovata tenuta in mare. Come per il passato, questa nuova creatura Levi, ha avuto il vantaggio di essere stata costruita con quanto di tecnologicamente più evoluto è disponibile attualmente sul mercato. Forse anche troppo ma la customizzazione è anche una scelta del fortunato ed esigente cliente che… sa benissimo di avere una barca unica, spettacolare e autentico gioiello del mare.
La cura degli interni è quasi maniacale, l’armonia delle forme e degli spigoli arrotondati e la finitura dei materiali, la pone al vertice della gamma, tra una barca da diporto e un mini yacht di lusso, con una carena che fa indiscutibilmente la differenza, non temendo confronti e paragoni anche con imbarcazioni più grandi e di rinomata fama. Sicuramente le doti marinaresche di questa tipologia di carena, la tenuta in mare e il piacere di guida che offre, evidenziano una barca che si farà notare tra le onde del mare, mentre tante altre unità, sono costrette, con mare formato, a rifugiarsi nel più vicino sorgitore.
Già… queste sono le prime indicazioni di chi ha avuto la fortuna di provarla in tutti questi mesi, con differenti condizioni di mare, certi che una carena Levi non teme il mare formato, anzi, è in queste condizioni estreme che da il meglio di se stessa invece di vederla navigare su mari calmi o piatti. Questo la dice lunga sul periodo di immobilità progettistica che sta vivendo la nautica contemporanea poiché, contrariamente, vede i costruttori limitare la performance delle loro imbarcazioni solo con mare “leggermente mosso”.
Peccato non aver visto questa barca al 50° Salone Internazionale di Genova, non mi sarebbe dispiaciuto vederla ancora.
Modello | Corsair |
Lunghezza f.t. | m 9.10 |
Lunghezza scafo | m 8.25 |
Lunghezza galleggiamento | m 7.25 |
Larghezza massima | m 2.75 |
Dislocamento pieno carico | Kg 6250 |
Immersione | m 0.80 |
Serbatoio carburante | L.540 |
Serbatoio acqua | L. 200 |
Potenza installabile | da 340 a 630 hp |
Velocità | massima 50 Nodi |
Posti letto | 4 |
Persone trasportabili | 8 |
Categoria CE | B |
I motori sono 2 YANMAR 6BY2 da 260 Hp accoppiati a piedi YANMAR ZT350.
Eliche standard Mercruiser in acciaio con passo da 24″ e dislocamento medio (dotazioni complete, 2 persone, pieno ai serbatoi acqua, 1/3 serbatoio gasolio) abbiamo registrato una velocità GPS ponderata (media rilevazione nelle 2 direzioni opposte) di 45 nodi in condizioni di mare calmo e vento quasi assente.
Nelle immagini: a sinistra Martin Levi e il sottoscritto seduti sulla tuga di Corsair, a destra, Martin e Antonello Villa che hanno dato vita a questa nuova realtà della nautica firmata Levi Boats e “Sonny” Levi.
A voi le valutazioni, io ho atteso quasi un anno per poter scrivere questo articolo, poter parlare di questo gioiello, spero di aver fatto cosa gradita a tutti gli estimatori e gli appassionati della buona nautica, non c’è da dimenticare che il Corsair è un prodotto italiano, costruita interamente a Venezia dal Cantiere Nautico Portegrandi (www.portegrandi.com) del maestro d’ascia Gilberto Crosera e le sue maestranze dove l’ho potuta “conoscere”…
Levi Boat Company
via Mestrina 64/B
30172 Venezia Mestre
Tel/Fax +39 0421 332640
Sito web: www.leviboats.com
L'articolo New Corsair Classic by Levi Boat Company proviene da Nautica e barche d'epoca - Altomareblu.